Chiamare per nome: un’esperienza di resurrezione
22 luglio 2024
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 20,11-18 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 11Maria stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
Quante volte Maria di Magdala aveva già sentito, come i discepoli, gli annunci fatti da Gesù sulla sua morte e resurrezione. Tuttavia adesso, in questo momento di acuta sofferenza, tutto sembra dimenticato.
Non bisogna scordare chi è Maria, donna che oggi la liturgia ci porta a ricordare e festeggiare. Possiamo scorgerne alcuni tratti nel Vangelo secondo Luca (cf. Lc 8,1-3). Brevi versetti che raccontano come nell’andare incontenibile di Gesù per città e villaggi annunciando il vangelo stavano con lui anche delle donne. In quel tempo questo era un agire scandaloso che poneva Gesù e la sua comunità in evidente contrasto con la tradizione, la quale riteneva impura una donna solo perché aveva le mestruazioni. Si può intuire a quale stato fossero relegate, a quale vita di clausura forzata fossero costrette, a quanta libertà negata. E allora, Il semplice gesto di Gesù di accoglierle nella sua comunità era davvero da ritenere un segno di rivoluzione per quel tempo.
Con queste premesse forse possiamo guardare alle lacrime di Maria di Magdala al sepolcro con un altro sguardo. Le lacrime di una donna che nella sua vita ha sperimentato l’oppressione di una legge, di una tradizione che toglieva il fiato fino all’incontro con Gesù che le apriva il cammino: finalmente un vento impetuoso di aria nuova nel luogo stantio del nostro limite. Luca sottolinea che Maria fu liberata da sette demoni. Si potrebbe pensare a un’esagerazione, forse per cercare di addomesticare e rendere più accomodante l’immagine di Gesù ma, forse, può anche voler dire che i sette demoni, numero che indica una totalità, sono quel male che ci avvolge, che ci fa vedere solo il buio, non permettendoci di vedere il bene che riceviamo dagli altri, che ci fa riconoscere di essere amati e quindi amabili. Credo ci sia tutto questo nelle lacrime di Maria.
Maria è nel pianto, fissa nel proprio dolore per il maestro e per il suo corpo che non ritrova più. Possiamo solo intuire il dolore di chi perde un figlio, magari in guerra o per altre funeste circostanze, e non ritrova più il corpo. La presenza del corpo è prova tangibile di ciò che è accaduto, la non presenza del corpo lascia incerti, lascia aperti ad altre prospettive possibili. Il corpo di Gesù non sarà ritrovato perché la fede è uno stare davanti alla novità. È uno stare davanti a una realtà aperta.
Maria viene chiamata per nome da Gesù. È Gesù che si fa trovare, che si rivela. La nostra fede non può vantare di possedere il Risorto, di possedere la verità, ma essa ci è donata per poterne condividere dei barlumi con i nostri fratelli e le nostre sorelle in umanità senza ritenersi detentori della Sapienza o semplicemente migliori, ma ci fa stare nell’umiltà di chi sa di aver ricevuto un dono che porta frutto nella condivisione.
Essere chiamati per nome è essere riconosciuti, essere restituiti alla vita: è una resurrezione. Fa pensare alla chiamata di Zaccheo: il pubblicano che vuole vedere Gesù e cerca tutti i modi per riuscirci, ma poi è Gesù che lo scopre, lo vede, lo chiama per nome. È Gesù a prendere l’iniziativa superando il pregiudizio che pesava sulla reputazione del pubblicano e ridonandogli la dignità di sentirsi un figlio amato. Questa esperienza dona a Zaccheo un nuovo sguardo su di sé e sul mondo, si accorge che la vita è fatta di fraternità, e lo rende capace, forse adesso, di guardare l’altro con lo stesso amore con il quale è stato visto… o almeno ci prova!
I due personaggi vivono l’esperienza della resurrezione, lì dove si trovano nel loro percorso. E poi, l’una correrà a dare l’annuncio, l’altro organizzerà una festa di conviviale fraternità donando i suoi beni.
Tutta vita nata da una chiamata, da una parola che ancora oggi corre e interpella: la parola del Risorto!
fratel Paolo