La novità sempre da accogliere

Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)
Carta realizzata presso la fraternità di Civitella san Paolo (RM)

6 settembre 2024

Lc 5,33-39

In quel tempo 33i farisei e maestri della Legge dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». 34Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? 35Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
36Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. 37E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. 38Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. 39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: «Il vecchio è gradevole!»».


Per cercare di comprendere questo brano è bene dare un po’ di luce al contesto. Ci troviamo nella casa di Levi mentre è in atto un banchetto che egli ha organizzato per la gioia di aver ricevuto da Gesù l’invito a seguirlo, per essersi reso conto di essere stato “riconosciuto” da qualcuno che gli permette di recuperare così la sua dignità (di figlio). Si può comprendere allora il suo entusiasmo, la sua gioia e il desiderio di condividerla con amici e conoscenti. 

In questo contesto i discepoli di Giovanni e dei farisei, che percepiscono l’aria di festa, sembrano infastiditi e pongono una domanda caratterizzata dalle parole “digiuno e preghiera”, volendone sottolineare la mancanza. In realtà la vita di Gesù era intrisa di queste pratiche. All’inizio del vangelo si racconta del suo tempo nel deserto dove digiuna per quaranta giorni e più volte Luca ci presenta Gesù che si ritira, in disparte, magari la notte o il mattino presto per cercare luoghi dove pregare nella solitudine il Padre. Quindi queste due parole, digiuno e preghiera, per la vita di Gesù erano molto importanti, fondamentali.

Il digiuno ha un forte significato religioso un po’ presso tutti i popoli. Mangiare vuol dire vivere, digiunare vuol dire morire. Se una persona appositamente digiuna si avvicina alla morte, almeno simbolicamente parlando. Questo aiuta a riconoscere il limite che accompagna la nostra vita e ci fa capire quanto essa sia un dono; il digiuno dice il non possesso sulla vita e quindi aiuta a riconoscere che essa ci è donata da un Altro. Digiunare è riconoscere la propria condizione creaturale

La preghiera dice il nostro rapporto con Dio, da creatura a creatore, intesa come fiducia nel dono di Dio e ricerca del Regno, che viviamo ponendo come priorità assoluta il rapporto con il bene e con la giustizia. È ciò che Gesù ci esorta a fare: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia…” (Mt 6,33). 

Gesù era però contrario a un digiuno fatto con ipocrisia per farsi vedere dagli altri (cf. Mt 6,16-18) o a un digiuno vissuto in modo legalistico, motivato dal mostrare la propria presunta giustizia (cf. Lc 18,11-12). È così anche per la preghiera, più volte Gesù nel vangelo invita a non moltiplicare vane parole ma a rivolgersi al Padre come dei figli che sono oggetto della sua attenzione, riconoscendo di essere già amati da colui che invocano e quindi chiamati a tradurre nella propria vita, nelle proprie opere l’amore ricevuto; facendo cogliere che la preghiera non è solo una richiesta che rimane campata in aria ma essa interpella fattivamente e concretamente la nostra vita.

Possiamo chiederci: quale è la nostra fame? Quale digiuno siamo chiamati a fare? Non quello che richiama le “diete”, che ci fa essere schiavi delle apparenze, ma il digiuno nascosto che non è esclusivamente alimentare ma è una pratica che attraverso una mancanza, una rinuncia, rinvigorisce lo Spirito.

La parabola del vino nuovo in otri nuovi ci fa cogliere la condanna di Gesù alla mente chiusa, un appello affinché le nuove idee non vengano respinte a priori

Come dice la Regola di San Benedetto: “Spesso è al più giovane (al nuovo) che il Signore rivela la soluzione migliore”. Questa parola di Gesù credo ci inviti a rimanere aperti, disponibili a insegnare, perché il “vecchio è buono!” (lui stesso non è venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento), ma avendo bene in mente che non è tutto, c’è una novità da accogliere, c’è sempre da imparare!

fratel Paolo