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XV domingo do Tempo Comum

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Stile bizantino, tempera all’uovo su tavola cm 40 x 32
Ícones de Bose, O Bom Samaritano

14 julho 2013
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A compaixão é subtrair a dor à solidão de quem sofre e dizer-lhe: Tu não estás só porque o teu sofrimento é, em parte, meu.
       

14 luglio 2013
di LUCIANO MANICARDI

Anno C

Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37

Il primato della prassi: così potremmo intravedere l’unità tra prima lettura e vangelo. Il comando di Dio (ovvero la rivelazione divina contenuta nell’intero Deuteronomio, e dunque tutta la Legge) è praticabile, è fattibile, anzi può e deve essere messo in pratica, altrimenti esso non viene adeguatamente compreso. La Scrittura è data per essere vissuta: vivere la Parola è il criterio per comprenderla (I lettura). La pagina evangelica mostra che si può conoscere che l’intera rivelazione di Dio contenuta nella Scrittura si sintetizza nel comando di amare Dio e il prossimo e non trarne le conseguenze, ma disimpegnarsi, evadere dalla prassi. Dicendo “Hai risposto bene (orthôs); fa’ questo e vivrai” (Lc 10,28), Gesù incita il dottore della Legge a passare da una sterile ortodossia all’ortoprassi, unico piano di autentificazione della comprensione delle Scritture. E di fronte alla sua domanda: “Chi è il mio prossimo?”, Gesù narra la parabola del Samaritano anch’essa ben compresa dal suo interlocutore, ma la conclusione di Gesù è la medesima: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (vangelo). L’ascolto della Parola tende a coinvolgere il corpo del credente, chiamato ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le sue forze e il prossimo come se stesso. Sintetizza Agostino: “Non chiederti: chi è il mio prossimo? Tocca a te farti prossimo di chi è nel bisogno”.

La continuità tra il dialogo tra Gesù e il dottore della Legge sulla Legge e la parabola del Samaritano dice che la pagina biblica così come il volto dell’altro nel bisogno sono appello a vivere la carità, sono appello alla responsabilità nei confronti dell’altro uomo. Siamo di fronte alla denuncia della divisione che spesso ci abita: non facciamo l’unità tra sapere e fare, tra corpo scritturistico e corpo umano sofferente, tra spirito e mano.

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