IX domingo do Tempo Ordinário

 

Questi cristiani hanno retta fede, partecipano alle liturgie (“Signore, Signore”), profetizzano veramente, fanno davvero miracoli e scacciano sul serio demoni: non è solo gente che dice ma non fa. Essi fanno, e molto. Ma una chiesa il cui servizio di santificazione, istruzione e guida, il cui magistero e la cui azione caritativa non divengano un annuncio nei fatti della misericordia di Dio, non facciano sentire perdonati gli uomini, non incontrino realmente i poveri destinatari delle sue azioni caritative e della sua attività assistenziale, non guardino il mondo e gli uomini con lo sguardo misericordioso del Padre, rischia di essere una chiesa che vede solo se stessa, accecata. Pensa di aver fatto tutto in nome di Cristo, e viene smentita da Cristo stesso.

L’atteggiamento dei cristiani che saranno sconfessati da Cristo nel giudizio è anzitutto stigmatizzato perché abitato dalla pretesa, dalla presunzione di avere agito in nome di Cristo (cf. l’espressione “in tuo nome” ripetuta tre volte in Mt 7,22). Vi è una certezza che è incompatibile con la confessione di fede e che diviene presunzione. Se l’elemento veritativo della confessione di fede cristiana è l’amore per il prossimo, chi mai potrà essere certo di avere amato pienamente, adeguatamente, senza ombre e senza aver ferito? L’insicurezza in cui ci pone l’amare è la benedetta destabilizzazione delle pretese e della presunzione a cui il credere può dare origine.

Mettere in pratica le parole ascoltate dal Signore significa personalizzare l’atto di fede con la creatività che conduce il credente a dare la sua personalissima inflessione all’obbedienza. Chiamato a vivere la Parola del Signore e ad amare il volto del prossimo, il credente è immesso in un cammino segnato da creatività, discernimento e  intelligenza. Lì si manifesta la sua sapienza (cf. Mt 7,24).

LUCIANO MANICARDI


Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
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