I monaci di Bose nella pieve di Cellole
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E così Cellole, divenuta la «Bose-Toscana», è ora un bocciolo o una gemma primaverile. È nuovamente destinata ad essere una luce per tutta la Regione per la testimonianza viva che vi vibra. Quei luoghi ormai parlano. Sono tornati a vivere con la loro luce, con la loro storia, la loro tradizione e ora anche con il loro slancio verso il futuro. È iniziato appunto un cammino che deve essere assecondato e sostenuto. Perché, sulle cadenze di papa Francesco, sappia farsi gradualmente cammino di «fratellanza, amore e fiducia», di uscita da sé. Teso ad incrociare «le periferie dell’esistenza», che più marcano la sofferenza, la solitudine e lo smarrimento delle donne e degli uomini del nostro tempo.
L’augurio segreto e incontenibile di ciascuno, che si faceva parola sussurrata e aperta nello scambio fraterno dei saluti, era che quella fraternità diventi per tutti i cercatori di Dio, ma anche per tanti altri che lì andranno pellegrini, un luogo dove ciascuno si senta accolto e trovi la Parola che tocca il cuore. E così ci si riapra alla speranza, senza paura delle sorprese di Dio. Pronti a rischiare per dare un senso appagante alla vita.
Ma la gioiosa e cordiale presenza di tante autorevoli persone e di cristiani anonimi a quella festa era anche preghiera e auspicio, sebbene non esplicitamente dichiarato, che la comunità di Bose, nata appunto alla chiusura del Concilio Vaticano II, contribuisca, anche in Toscana, a stimolare ulteriormente la realizzazione del sogno del suo priore Enzo Bianchi, affidato alle pagine di Jesus del Febbraio scorso. Quello «di una Chiesa in cui è bello e buono vivere». Un sogno che il priore Bianchi precisava così, a conclusione di quel suo scritto: «Resto convinto che oggi occorre realizzare il Concilio di cui siamo stati partecipi e testimoni, e così preparare una nuova primavera per la Chiesa. Sì, essa può ancora arrivare». Evidentemente la scelta di quella inaugurazione nella festa liturgica della Divina Misericordia e con nell’aria il profumo della primavera non era stata casuale.
Toscana oggi, 9 aprile 2013
di LIDO BARTALESI-LENZI