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Infine, Gesù con l’eucaristia risponde ai suoi discepoli, a Pietro e agli altri, a chi è pieno di paura e si mostra una canna incrinata, e agli altri che dormono e non sanno vegliare. Anche qui Gesù «non spezza la canna incrinata, non spegne lo stoppino dalla fiamma smorta», come annunciava il primo canto del Servo di Isaia (cf. Is 42,3; Mt 12,20); dice addirittura ai discepoli: «Dormite pure!» (cf. Mc 14,41 e par.). Ma a tutti questi suoi discepoli – che siamo noi, perché i discepoli di Gesù non erano differenti dalla comunità cristiana di oggi, e da ciascuno di noi, paurosi come «la roccia» o sonnolenti come gli altri dieci –, Gesù ha dato il suo corpo e il suo sangue, così come li dà a noi.
L’eucaristia è la sola e definitiva risposta di Gesù a Dio e all’umanità intera, e ogni volta che la celebriamo dovremmo essere presi davvero da timore – il vero timor Domini, l’unico principio di una sapienza umana (cf. Sal 111,10; Pr 1,7) –, nell’accogliere nelle nostre mani e nell’accogliere in noi la vita di Gesù, la vita di Gesù raccolta in un gesto, il corpo del Signore per noi, il sangue per la moltitudine degli uomini. Ciò che celebriamo con il gesto del pane e del vino, ora lo celebriamo in memoria di Gesù anche con il gesto della lavanda. Sono due memorie di Gesù in cui non è possibile nessun protagonismo né di chi presiede, né del presbitero che presiede l’azione eucaristica: è il Signore che ci lava i piedi, è il Signore che ci dà il suo corpo e il suo sangue.
ENZO BIANCHI, priore di Bose