Message de Rowan Williams, Archevêque de Canterbury
XVIIIe Colloque œcuménique international
La vocazione alla solitudine per i cristiani non è mai un rifiuto, né un ritiro nell’isolamento. Essendo innanzitutto una risposta a un appello alla più profonda comunione possibile con Dio, è un’apertura
TRADUCTION ITALIENNE
DU MESSAGE DE L'ARCHEVÊQUE ROWAN
AUX PARTICIPANTS DU COLLOQUE
Al priore e alla comunità del monastero di Bose,
e a tutti i partecipanti al
diciottesimo convegno ecumenico internazionale
di spiritualità ortodossa
su “Comunione e solitudine” – settembre 2010.
Caro fratello Enzo, cari fratelli e sorelle in Cristo,
mi è molto gradito inviare i miei auguri e le mie benedizioni per il simposio su “Comunione e solitudine” a Bose, mentre prego perché riceva abbondanti benedizioni da Dio e perché i suoi rendiconti divengano risorse significative nelle chiese per l’approfondimento della vita contemplativa.
La vocazione alla solitudine per i cristiani non è mai un rifiuto, né un ritiro nell’isolamento. Essendo innanzitutto una risposta a un appello alla più profonda comunione possibile con Dio, è un’apertura a una più profonda condivisione di quella comunione che è la vita stessa di Dio. Il solitario cristiano è precisamente la persona che volge le spalle all’isolamento dell’individualismo per scoprire la vita personale che per ciò stesso è vita di comunità e di reciprocità, fonte di ogni vita. Il solitario, entrando nella comunione della Santa Trinità, in questa relazione si apre come non mai ai bisogni e alle sofferenze del mondo; il solitario entra in una più profonda comunione con ogni essere umano, e anche, come testimoniano molte vite di santi, in una più profonda comunione con la creazione extraumana.
Si parla spesso della comunione come della realtà fondamentale della chiesa del Dio triuno (per ricordare il titolo del recente documento della commissione teologica anglicano-ortodossa), e ciò ha costituito una sottolineatura vitale e vitalizzante in tutti gli incontri ecumenici degli ultimi decenni. Ma riflettervi nuovamente in relazione con la vocazione alla solitudine significa essere condotti a ricordare che se non siamo pronti a morire alle nostre abituali limitate realtà e ai nostri programmi autocentrati, se non siamo pronti a mettere a tacere i nostri desideri non convertiti e la nostra dipendenza dall’approvazione umana, non saremo capaci di scoprire veramente il cuore della comunione. Il solitario, avventurandosi fuori dal sicuro mondo dell’abitudine condivisa e dei prevedibili compensi, è un dono di Dio alla chiesa intera, datoci affinchè non dimentichiamo mai la profondità di quanto ci è chiesto in quanto discepoli di Gesù chiamati a vivere nella Verità. Una chiesa priva della testimonianza dei solitari rischierà di essere appagata di un semplice sentimento di simpatia umana invece che della trasfigurante comunione con la vita stessa di Dio condivisa con noi nel corpo di Cristo.
Possa questo incontro suscitare una rinnovata gratitudine per questo dono e una rinnovata prontezza a riceverlo.
? Rowan Cantuariensis