L'importanza della Sacra Scrittura nella Teologia Ortodossa Contemporanea
XIX Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
LA PAROLA DI DIO NELLA VITA SPIRITUALE
Bose, 7-10 settembre 2011
in collaborazione con le Chiese Ortodosse
RELAZIONE DEL METROPOLITA ILARION DI VOLOKOLAMSK
L’IMPORTANZA DELLA SACRA SCRITTURA
NELLA TEOLOGIA ORTODOSSA CONTEMPORANEA
1. Scrittura e Tradizione
La Chiesa ortodossa considera la Sacra Scrittura come un tutto inscindibile, al cui centro si trova il Vangelo. L’Antico Testamento è visto dalla Chiesa come una “preparazione al vangelo” (1), e le lettere degli apostoli come una autorevole interpretazione del messaggio evangelico, proveniente dai discepoli più vicini a Cristo.
La comprensione e l’interpretazione della Sacra Scrittura nella teologia ortodossa per alcuni aspetti differiscono dal modo in cui la Scrittura è concepita nelle Chiese e scuole teologiche occidentali. Questa differenza riguarda anzitutto il rapporto tra Scrittura e Tradizione. Per la consuetudine ortodossa è innaturale contrapporre l’una l’altra Scrittura e Tradizione, come avviene nella teologia occidentale.
La questione su che cosa sia più importante, la Scrittura o la Tradizione, fu posta nel corso della polemica tra Riforma e Controriforma nei secoli xvi-xvii. I capi della Riforma (Lutero, Calvino) sostennero il principio della sola Scriptura, secondo cui l’unica base dell’insegnamento cristiano e della vita cristiana è la Bibbia. Le definizioni dogmatiche, le tradizioni liturgiche e rituali non fondate sull’autorità della Scrittura non avrebbero potuto, secondo i Riformatori, essere considerate legittime e avrebbero dovuto essere eliminate.
A questo principio protestante i teologi cattolici della Controriforma contrapposero l’assunto che senza Tradizione la Scrittura non avrebbe autorità. Gli avversari della Riforma si basavano sulle parole di sant’Agostino: “Non crederei al vangelo, se non mi spingesse a questo l’autorità della Chiesa cattolica (Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoverat auctoritas)”(2). Evidenziavano che il canone della sacra Scrittura era stato costituito proprio dalla Tradizione della Chiesa, che aveva stabilito quali libri ne dovessero far parte e quali no. Al Concilio di Trento del 1546 fu formulata la dottrina delle due fonti, secondo cui la Scrittura non può considerarsi come l’unica fonte della Rivelazione Divina: la Tradizione è una fonte non meno importante.
Sembrerebbe che questa dottrina sia in diretta contrapposizione all’insegnamento protestante. Si può tuttavia vedere come i teologi cattolici, rispondendo ai protestanti, ne mutuassero l’idea stessa di una contrapposizione, in linea di principio, tra Scrittura e Tradizione.
Per la teologia ortodossa, a differenza dei teologi di Riforma e Controriforma, non importa discutere se il primato spetta alla Scrittura o alla Tradizione, quanto evidenziare l’unità di Scrittura e Tradizione nella viva tradizione ecclesiale, dove un ruolo speciale è svolto dall’insegnamento ortodosso sull’azione dello Spirito santo nella Chiesa.
Nella concezione ortodossa la Tradizione comprende non solo i testi (liturgici, dogmatici, canonici), ma anche quello che non è riconducibile al testo, ad esempio gli atti dei celebranti e dei fedeli durante la liturgia, lo stile e i canoni dell’iconografia, le melodie dei canti liturgici, le consuetudini di preghiera. La Tradizione sottintende anche quella realtà spirituale che non si esprime verbalmente ed è custodita nella silenziosa esperienza della Chiesa, tramandata di generazione in generazione. L’unità e la continuità di questa esperienza, custodita nella Chiesa fino ad oggi, costituisce l’essenza della Tradizione ecclesiale.
Uno dei maggiori teologi ortodossi del xx secolo, Vladimir Losskij, definiva la Tradizione come “vita dello Spirito Santo nella Chiesa, vita che comunica a ogni membro del Corpo di Cristo la capacità di sentire, accogliere, riconoscere la Verità nella luce che le è propria, non nella luce naturale della ragione umana”(3). Sottolineando il legame fra Tradizione e Chiesa, Losskij scriveva: “Il concetto di Tradizione è più ricco di quel che molti pensano. La Tradizione non sta solo nella trasmissione orale di fatti che possono aggiungere qualcosa alla narrazione evangelica. Essa è un completamento della Scrittura e, anzitutto, un’attuazione dell’Antico Testamento nel Nuovo, riconosciuta dalla Chiesa. È la Tradizione a farci capire il senso della verità della Rivelazione: non solo di quello che è da accogliere, ma anche – e qui è importante – di come dobbiamo accogliere e custodire ciò che abbiamo udito. Il senso generale presupposto della Tradizione è l’incessante azione dello Spirito Santo, che può dispiegarsi e portare frutti solo nella Chiesa, dopo la pentecoste. Solo nella Chiesa ci rendiamo capaci di scoprire il legame interno, recondito tra i testi sacri, grazie a cui la Sacra Scrittura – dell’Antico come del Nuovo Testamento – è l’unitario e vivo corpo della Verità, dove Cristo è presente in ogni parola”(4).
Nell’ortodossia la Scrittura è vista come parte della tradizione. Questa visione del rapporto tra Scrittura e Tradizione è importante per la concezione ortodossa dell’ispirazione divina della Bibbia, che si distingue radicalmente da analoghe concezioni sostenute nella teologia fondamentalista protestante. Per il fondamentalista protestante l’ispirazione divina è legata alla infallibilità letterale del testo scritturale, al “dettato Divino”. Per la tradizione ortodossa l’ispirazione divina è legata al fatto che la Scrittura è una parte della Tradizione, e la tradizione è la vita dello Spirito santo nella Chiesa. La Scrittura nasce all’interno della tradizione religiosa (Tradizione), è trasmessa dalla tradizione religiosa ed è interpretata dalla tradizione religiosa.
Nella Parola di Dio i teologi ortodossi vedono l’interazione (sinergia) dei principi Divino e umano, in analogia alla mutua relazione delle due nature in Cristo. I libri della Sacra Scrittura furono scritti da uomini, che non si trovavano in stato di trance, ma di sana memoria, e su ciascun libro c’è l’impronta dell’individualità creativa dell’autore, come anche l’impronta del contesto storico-culturale in cui egli viveva e scriveva. Come dice il teologo del XX sec. Boris Sove, “l’idea letterale e meccanica di ispirazione divina dei libri sacri, propria della teologia giudaica e protestante conservatrice, non può essere sostenuta dai teologi ortodossi, in quanto tende a una specie di “monofisismo”, ma deve essere corretta alla luce del dogma Calcedoniano sulla divino-umanità”(5).
In questa luce devono intendersi alcuni fatti come, ad esempio, le discordanze tra gli evangelisti (in Matteo 8,28-34 si parla della guarigione di due indemoniati, mentre nelle narrazioni parallele di Marco e Luca della guarigione di uno solo; le testimonianze dei quattro evangelisti sulla visita delle donne mirrofore al sepolcro vuoto dopo la Resurrezione differiscono nei particolari). Queste discordanze si spiegano col fatto che sugli stessi eventi scrivevano persone diverse, delle quali alcune erano presenti, altre ne raccontavano dalle parole altrui, e i racconti furono messi per iscritto molti anni dopo i fatti narrati.
Per la teologia fondamentalista protestante queste discordanze sono pietre d’inciampo, per spiegare le quali si costruiscono varie ipotesi, spesso poco verosimili. Per la tradizione ortodossa, questo tipo di discordanze non sono affatto sostanziali per riconoscere l’ispirazione divina dei vangeli e la loro autorità.
Fuori dal contesto della Tradizione i testi biblici possono essere considerati dal punto di vista della critica testuale, delle particolarità linguistiche e letterarie, possono essere studiati come testimonianze storiche. Ma essi acquistano importanza dogmatica solo nel contesto della Tradizione. La Tradizione ha l’autorità di dare un nuovo senso dogmatico anche a quei testi della Scrittura che letteralmente non lo esprimono.
Scrive Vl. Losskij: “Agli occhi di un qualunque storico della religione l’unità dei libri antico-testamentari – composti nel corso di molti secoli, scritti da vari autori, che spesso combinavano e fondevano diverse tradizioni religiose – è casuale e meccanica. La loro unità con la Scrittura del Nuovo Testamento gli appare forzata e artificiale. Ma un figlio della Chiesa riconoscerà l’unitaria ispirazione e l’unico contenuti di fede in queste eterogenee scritture, dettate dal medesimo Spirito, quello Spirito che, dopo aver parlato con la bocca dei profeti, precede il Verbo, rendendo la vergine Maria capace di servire all’incarnazione di Dio. Solo nella Chiesa possiamo coscientemente riconoscere in tutti i libri sacri una sola ispirazione, perché la Chiesa possiede la Tradizione, che è la conoscenza del Verbo incarnato nello Spirito Santo”(6).
Dato che la consuetudine ortodossa non è incline, come la teologia occidentale, a contrapporre tra loro Scrittura e Tradizione, la questione dei confini della Scrittura (almeno per quanto riguarda in canone antico-testamentario) per l’Ortodossia non è così importante come per la teologia occidentale. Sappiamo che la Bibbia della Chiesa ortodossa greca ha una composizione diversa dalla Bibbia slavo-ecclesiastica e dalla Bibbia russa. Nella Bibbia greca manca il 3° libro di Esdra; accanto ai tre libri dei Maccabei accolti dalla Chiesa russa c’è un 4° libro dei Maccabei. Tuttavia queste differenze non sono considerate teologicamente rilevanti dalle Chiese Ortodosse.
Parlando dei rapporti tra Scrittura e Tradizione è importante sottolineare che per la consuetudine ortodossa l’esperienza di vita nello Spirito è primaria rispetto a qualunque testo scritto. L’archimandrita Sofronio (Sacharov) scrive nella vita del san Silvano dell’Athos: “La Tradizione, eterna e immutabile presenza dello Spirito santo nella Chiesa, è il fondamento profondo della sua esistenza, la Tradizione abbraccia tutta la vita della Chiesa, mentre la sacra Scrittura è solo una delle sue forme … la scrittura non è più profonda né più importante della tradizione, ma è una delle sue forme … Se supponessimo, che per una qualche causa la Chiesa rimanesse priva di tutti i suoi libri, cioè dell’Antico e del Nuovo Testamento, dei Padri della Chiesa e dei libri liturgici, la tradizione ristabilirebbe la scrittura, sia pure non parola per parola, o in un’altra lingua, ma nella sua sostanza, e questa nuova Scrittura sarà espressione della stessa fede, trasmessa ai santi una volta per tutte (Giuda 1,3), manifestazione del medesimo Unico Spirito che immutabilmente opera nella Chiesa, essendone fondamento e sostanza. Ma se la Chiesa rimanesse priva della sua Tradizione, essa cesserebbe di essere quello che è, poiché il servizio del Nuovo Testamento è un servizio dello Spirito, scritto non nell’inchiostro, ma nello Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne del cuore (2 Cor 3,3)”(7).
Con queste parole non si sminuisce in nulla l’importanza della Scrittura, esse esprimono l’insegnamento tradizionale della Chiesa ortodossa secondo cui l’esperienza della comunione a Cristo nello Spirito santo è superiore a qualunque espressione verbale di questa esperienza, che sia la Sacra Scrittura o qualunque altra fonte scritta.
I teologi ortodossi sottolineano che Cristo non ci ha lasciato alcuna riga scritta(8). Il cristianesimo è la religione dell’incontro con Dio, e non della interpretazione razionalistica dei testi scritti. I cristiani credono nella risurrezione di Cristo non perché ne hanno letto su di un libro, ma perché hanno conosciuto il Risorto nella loro esperienza interiore.
2. Il testo della Scrittura nella Chiesa ortodossa
Attenta non alla lettera, ma allo spirito, la Chiesa ortodossa non ha mai canonizzato alcun testo o traduzione, alcun manoscritto o edizione della sacra Scrittura. Nella tradizione ortodossa non vi è un testo della Bibbia comunemente adottato. Vi sono divergenze tra le citazioni bibliche dei vari Padri della Chiesa; tra la Bibbia adottata nella Chiesa greca e quella slavo-ecclesiastica; tra i testi slavo-ecclesiastici della Bibbia e la traduzione Sinodale russa raccomandata per la lettura domestica.
In questo, la tradizione ortodossa si distingue da quella cattolica, in cui per un lungo periodo (dal concilio di Trento al concilio Vaticano Secondo) l’unico testo autorevole della bibbia era ritenuta la traduzione in latino (la Vulgata) nella edizione del 1592 (la cosiddetta Vulgata Clementina).
La questione di canonizzare la Bibbia slavo-ecclesiastica come testo “autosufficiente, al pari della Vulgata latina” fu posta nel xix da N.A. Protasov (1836 – 1855 ??.), procuratore del Santo Sinodo. Tuttavia, scrive san Filarete di Mosca, “il Santo Sinodo, per le difficoltà di correzione della Bibbia slava non ha proclamato il testo slavo come affatto autosufficiente e ha così saggiamente impedito quelle difficoltà e confusioni, che sarebbero state uguali se non maggiori a quelle suscitate nella Chiesa di Roma dalla proclamazione della Vulgata come autosufficiente”(9).
La Chiesa ortodossa ritiene che l’annuncio cristiano debba risuonare in tutte le lingue del mondo. Di questo ci parla simbolicamente il racconto degli Atti degli Apostoli sulla pentecoste (Atti 2). La traduzione della Buona Novella in greco risale ai primissimi tempi dell’era cristiana; è nella traduzione greca, e non nella lingua natia di Gesù, che le Sue parole sono giunte a noi.
Nella storia della Chiesa ci furono vari tentativi di dichiarare alcune lingue “sacre” e tutte le altre “profane”. I santi Cirillo e Metodio, ad esempio, fondatori delle lettere slave, dovettero lottare con la cosiddetta “eresia trilinguista”, i cui sostenitori ritenevano che nella liturgia e letteratura cristiana fossero ammissibili solo tre lingue: ebraico, greco e latino. L’eresia fu superata, ma tentativi recidivi, miranti a definire “sacra” una qualche lingua, s’incontrano anche nella successiva storia della Chiesa. Già dal Medioevo la Bibbia esistette nelle Chiese ortodosse tradotte in lingue nazionali: greco, slavo, georgiano.
Un ruolo importante nella tradizione ortodossa è svolto dalla traduzione greca dell’Antico Testamento, quella dei Settanta. Quella traduzione fu eseguita nei secoli iii-ii avanti Cristo ad Alessandria, ma, venendo trascritta in ambito cristiano, il testo dei Settanta fin dall’antichità subì varie redazioni, veniva confrontato con il testo ebraico, onde tra i manoscritti della Bibbia greca esistono divergenze che sono il frutto di una lunga storia manoscritta. La Tradizione ci tramanda i nomi dei redattori della Bibbia greca: il famoso maestro della chiesa primitiva Origene, il santo martire Luciano, Esichio.
Tra i Settanta, il testo ebraico impiegato da san Gerolamo e il testo masoretico, che è alla base di tutte le principali traduzioni della Bibbia nelle lingue occidentali contemporanee, esiste una quantità di divergenze.
Il ruolo dei Settanta per l’ortodossia è tanto importante, che san Filarete di Mosca poté affermare: “Nell’insegnamento ortodosso sulla Sacra Scrittura il testo dei Settanta è degno del riconoscimento di una dignità dogmatica, in alcuni casi pari all’originale e persino superiore a quella forma di testo ebraico comunemente adottata nelle edizioni moderne”(10). Ciò è dovuto a tre fattori. In primo luogo, la Settanta può essere utilizzata per ristabilire il testo antico in quei punti dove nel testo masoretico sono penetrati degli errori. In secondo luogo, molte citazioni (certo non tutte) dall’Antico Testamento nel Nuovo Testamento riflettono il testo dei Settanta. In terzo luogo, il testo della Bibbia greca fu impiegato sia nelle opere greche dei Padri della Chiesa, sia negli scritti liturgici della tradizione ortodossa.
Non sarebbe corretto, tuttavia, affermare che la Settanta, e solo essa, sia la Bibbia dell’Ortodossia. San Filarete di Mosca, di cui abbiamo ora citato le parole sul valore della Settanta, a metà del xix secolo diresse il lavoro di traduzione dell’Antico Testamento in lingua russa. La traduzione eseguita sotto la sua direzione fu fatta (per la prima volta nel mondo ortodosso) sulla base del testo masoretico, tenendo conto, dove era opportuno, delle lezioni dei Settanta. Questa traduzione, finalizzata alla lettura domestica, fu edita per la prima volta nel 1876 con la benedizione del Santo Sinodo (da cui il nome di “Sinodale”). Da allora è stata ristampata, per le necessità della Chiesa russa, senza alcuna modifica sostanziale ed ha assunto oggi, al di fuori dell’uso liturgico, lo status di traduzione di uso generale o addirittura di traduzione ufficiale della Chiesa ortodossa russa.
Alla traduzione sinodale è toccato il compito di accompagnare i cristiani russi negli anni più bui della nostra storia, gli anni di inaudite persecuzioni per la Chiesa, col divieto di diffondere la sacra Scrittura. In gran parte grazie a questa traduzione in Russia la fede si è conservata e, dopo la caduta dell’ateismo statale, è diventata possibile la rinascita della vita religiosa.
Nel servizio liturgico la Chiesa russa utilizza il testo slavo-ecclesiastico della Bibbia. Esso risale alle traduzioni dei santi Cirillo e Metodio e dei loro allievi, tuttavia nel corso dei secoli ha subito redazioni e verifiche con altri testi biblici. La prima Bibbia slava completa fu edita nel 1499 su disposizione di san Gennadij, arcivescovo di Novgorod. I compilatori della Bibbia di Gennadij non trovarono alcuni dei libri biblici in traduzione slava, perciò li tradussero dalla Vulgata latina (Cronache 1 e 2, Neemia, Esdra 1-3, Tobia, Giuditta, I Proverbi, i Maccabei, brani di Geremia ed Esther)(11). La Bibbia di Gennadij è alla base delle Bibbie slave a stampa dei secoli xvi-xviii, alla cui preparazione il testo slavo veniva confrontato con le edizioni a stampa della Bibbia greca e latina.
In tal modo, nella Chiesa ortodossa esistono testi che risentono di varie tradizioni testuali. Questo riflette, da un lato, la fedeltà alle antiche fonti bibliche cristiane, dall’altra la fedeltà alla tradizione dei santi Padri e della Chiesa primitiva.
Rifiutando di canonizzare un determinato testo o traduzione della Scrittura, la Chiesa ortodossa segue l’esempio della Chiesa apostolica. È noto che all’epoca del Nuovo Testamento esistevano varie tradizioni testuali dell’Antico: il testo ebraico antico, la versione dei Settanta, le versioni greche riviste della fine del i sec. a. C. – inizio del i sec. d. C. alternative alla Settanta. Molte citazioni dall’Antico Testamento presenti nel Nuovo sono a volte più vicine ai Settanta, talora al testo ebraico, talora al testo delle revisioni greche successive.
La lezione messianica dell’Antico Testamento, come citata nel Nuovo, corrisponde talora ai Settanta, talora al masoretico. La più nota divergenza tra la Bibbia masoretica e la Settanta è Isaia 7,14. È il testo dei Settanta (“La Vergine concepirà”) e non quello masoretico (“la giovane concepirà”) che viene citato da Mt 1,23, applicandolo al concepimento verginale di Gesù. Nella polemica con i giudei i cristiani talora sostennero che il testo ebraico fosse stato appositamente cambiato dagli scribi dopo la nascita di Cristo. Tuttavia i manoscritti di Qumran hanno mostrato che i testi del ii-i sec. a.C. coincidono qui con il testo masoretico.
In altri casi è invece il testo masoretico e non quello dei Settanta a recare la lezione messianica citata nel Nuovo Testamento. Così Is 42,1, citato in Mt 12,18 (“Ecco il mio servo che io sostengo / il mio eletto di cui mi compiaccio”) corrisponde esattamente al testo masoretico, ma diverge dai Settanta (“Giacobbe, mio servo, lo accoglierò. Israele, mio eletto, è stato da me accolto”).
Possiamo vedere così che la Chiesa apostolica non intendeva canonizzare un tipo determinato di testo biblico. Analogamente, anche per la Chiesa ortodossa le diverse forme di testo biblico, come le diverse traduzioni, sono componenti dell’unitario corso della Tradizione.
3. Come i santi Padri leggevano la Scrittura
Nell’interpretare la sacra Scrittura, i Padri della Chiesa distinguono una lettura letterale da quella spirituale. “Il corpo della sacra Scrittura è il suo tessuto storico, la sua anima è il senso di ciò che vi è stato scritto … Come l’uomo è mortale nella sua parte visibile, ma in quella invisibile è immortale, così anche la sacra Scrittura possiede da un lato l’evidenza transitoria della lettera, dall’altro contiene lo spirito in essa celato, la cui realtà è perenne e costituisce l’oggetto autentico della contemplazione” (Massimo il Confessore)(12).
La comprensione spirituale (non-letterale) della Scrittura avviene a diversi livelli. Tra i modi non-letterali di interpretare la Scrittura presso i padri della Chiesa i principali sono quello allegorico-morale, quello tipologico (per “prototipi”) e quello anagogico (per “elevazione”).
L’esegesi allegorico-morale dava la possibilità ai teologi cristiani di considerare le narrazioni dell’Antico e Nuovo Testamento come allegorie dell’esperienza spirituale della singola persona umana. Classico esempio di tale interpretazione sono i commenti di Origene al Cantico dei cantici, in cui il lettore va molto di là del senso letterale e si trasporta in un’altra realtà, dove il testo biblico è assunto solo come immagine, simbolo di questa realtà. Incontriamo interpretazioni allegoriche della Scrittura in particolare in san Gregorio Nisseno, nella maggior parte della scuola teologica alessandrina, in Massimo il Confessore.
L’esegesi tipologica prevale nella ricezione patristica dell’Antico Testamento, che nella tradizione cristiana è considerato come prototipo delle realtà del Nuovo Testamento, attraverso il prisma del Vangelo. “Scrutate le Scritture, credendo di avere in esse la vita eterna; ma sono esse che mi rendono testimonianza” (Gv 5,39), molti avvenimenti della sua vita sono interpretati come adempimento delle antiche profezie. Questa interpretazione tipologica la troviamo nelle lettere di san Paolo, la si trova in particolare nella lettera agli Ebrei, dove tutta la storia veterotestamentaria è vista in senso proto-tipico, tipologico. Questa tradizione è continuata nei testi liturgici della Chiesa ortodossa, ricchi di allusioni a fatti dell’Antico Testamento, visti in relazione a Cristo e agli eventi della sua vita, come anche agli eventi nella vita della Chiesa.
L’interpretazione anagogica della Scrittura presuppone di innalzarsi dalla lettera del testo alla contemplazione delle realtà escatologiche, l’imminente Regno di Dio. Se l’Antico Testamento è prototipo del Nuovo, il Nuovo Testamento, secondo alcuni autori, è l’ombra del Regno di Dio che viene: “La legge è l’ombra del Vangelo, il Vangelo è immagine dei beni futuri”, dice Massimo il Confessore(13). Massimo prese questo pensiero da Origene, come anche il metodo allegorico di interpretazione.
Dice Origine sui tre livelli di lettura: “il corpo” è la lettera della Scrittura, “l’anima” è l’insegnamento morale, “lo spirito” sono i misteri e i prototipi(14); lo stesso ripete Gerolamo(15). Basandosi su Origene, san Giovanni Cassiano Romano sistematizza l’insegnamento sui quattro livelli di significato della Scrittura(16), distinguendo (1) la lettura letterale del testo, (2) l’interpretazione allegorica (il senso prototipico dell’Antico Testamento), (3) l’interpretazione tropologica (morale) e (4) quella anagogica (il senso escatologico). L’insegnamento di Giovanni Cassiano ha molto influito sulla teologia dell’Occidente latino.
4. Teologia ortodossa e critica biblica
Nell’epoca moderna in Occidente si è sviluppato l’approccio storico-critico al testo biblico, che prevede in primo luogo l’analisi di critica testuale (ristabilire il testo più antico mediante il confronto dei manoscritti), in secondo luogo l’analisi filologica (ricorrendo ad altri documenti scritti dell’Antico Oriente), in terzo luogo l’analisi storica (considerando le nostre conoscenze sulla realtà del mondo antico, la vita e la cultura del tempo). Caratteristica della scienza biblica europea è il fatto di applicare al testo biblico, nella sua realtà letterale, gli stessi metodi di analisi degli altri testi antichi. Spesso questo approccio storico-critico è anche detto critica biblica.
Esiste l’opinione secondo cui il cristiano ortodosso deve rifiutare la critica biblica in quanto derivante dagli studi condotti nell’ambito protestante. Quest’opinione è senz’altro sbagliata. Un atteggiamento devoto verso la Bibbia non esclude un atteggiamento critico verso il suo testo. Il confronto degli antichi manoscritti, l’individuazione delle varianti e la ricostruzione del testo più autorevole non contraddicono affatto la comprensione ortodossa della sacra Scrittura, perciò per il cristiano ortodosso le edizioni critiche della Bibbia hanno il medesimo valore che per un cattolico o un protestante.
Gli studi storico-critici aiutano a ricostruire il contesto storico della scrittura, a capire meglio come le parole della Scrittura erano intese dai suoi primi lettori e uditori. Certo bisogna tenere conto che queste ricerche sono finalizzate per l’appunto alla comprensione letterale della Scrittura, alla “evidenza transitoria” (Massimo il Confessore)(17) del testo. In base ai presupposti stessi della moderna scienza biblica l’interpretazione spirituale della Scrittura, fondamentale per i santi Padri, rimane fuori dal campo visuale. Possiamo dire che lo studioso del testo biblico secondo il metodo storico-critico, e il teologo che concentra la sua attenzione sull’interpretazione spirituale della Scrittura attraverso l’esegesi dei santi Padri, guardano alla Bibbia da due punti di vista diversi. È importante capire che questi punti di vista non sono in contrasto tra loro.
Nel xx secolo molti teologi ortodossi hanno sostenuto la necessità di condividere i risultati della moderna critica biblica. Così si esprimeva nel 1947 A.V. Kartašev: “La Chiesa russa si trova dinanzi alla necessità di una campagna missionaria sul vasto suolo della terra nativa, per la quale non possiamo limitarci all’arsenale della nostra antiquata scienza teologica. Per colpire il nemico sulle sue posizioni, apparentemente avanzate e scientifiche, bisogna che noi stessi ci armiamo con la tecnica più moderna. Ma per fare questo dobbiamo prima adottarla creativamente, farla nostra e trasformarla nell’alveo della teologia e della verità ecclesiale”(18).
Sull’atteggiamento positivo dell’Ortodossia verso la critica biblica intervenne anche Sergij Bulgakov: “Nulla impedisce, anzi è del tutto naturale … che ci si avvalga degli autentici risultati scientifici conseguiti nel mondo cristiano occidentale e, con i dovuti aggiustamenti e integrazioni, li si immetta nella pienezza della tradizione ecclesiale, certo non per sostituire, ma per conoscere più a fondo e colmare le lacune. La verità è una sola, ma è attinta dagli uomini in un processo dialogico di sviluppo. La coscienza ortodossa non ha motivo di temere la critica biblica o di indignarsi per essa, poiché mediante essa possiamo attingere più concretamente le vie del Signore e l’azione dello Spirito, che in varie forme e misure opera nella Chiesa”(19).
Purtroppo il destino dei paesi dell’Europa Orientale, e specialmente della Russia, nel xx secolo non ha favorito lo sviluppo della scienza teologica. Dopo la rivoluzione, la teologia in Russia cessò in sostanza di esistere per diversi decenni. Le scuole teologiche rinate nel 1943 non potevano porsi il compito di ristabilire gli studi teologici nelle dimensioni che avevano prima della rivoluzione. Nemmeno ora, a due decenni di distanza dalla caduta del regime ateistico, questo compito può dirsi realizzato.
La tragedia degli studi teologici colpì particolarmente il campo biblico. Nei nostri istituti religiosi s’impiegano spesso come libri di testo le opere degli autori prerivoluzionari, o le loro parafrasi. Nel frattempo in Occidente la scienza teologica non è stata ferma. Nel campo della biblistica è stato fatto un enorme progresso: ricerche monografiche di ogni sorta sono state scritte su singoli libri della Bibbia, sulla storia e sulla teologia biblica. Gli studiosi ortodossi non possono più ignorare il ricchissimo materiale accumulato dalla scienza biblica occidentale all’inizio del xxi secolo.
5. La scienza biblica ortodossa e i suoi attuali compiti
Quanto abbiamo detto sin qui costituisce una sorta di quadro ideale sul posto che dovrebbe avere la Bibbia nella vita della Chiesa ortodossa. La realtà non sempre coincide con l’ideale. Perciò la questione del ruolo della sacra Scrittura nella nostra Chiesa si presenta oggi in modo assai acuto.
Dicevamo che la Tradizione ortodossa comprende la Scrittura come una componente essenziale, direi di più, come un fondamento. Ne consegue che il cristiano ortodosso deve conoscere la Bibbia e vivere secondo essa. Essere un cristiano ortodosso senza conoscere la Bibbia è assurdo e fuorviante. Tuttavia non tutti i fedeli della nostra Chiesa conoscono e studiano il testo sacro.
Affinché la Bibbia diventi parte della vita e dell’esperienza del cristiano di oggi è necessario anzitutto farne una nuova traduzione. Può essere una sorta di “sinodale riveduta e corretta”, oppure una traduzione del tutto nuova, senza legame genetico con la sinodale. L’importante è che risponda ad alcuni criteri:
Dovrà tener conto dei risultati della scienza contemporanea (compresa l’archeologia biblica, la critica testuale, la semitologia comparata ecc.) per la comprensione dei testi biblici e delle realtà storico-culturali che fanno loro da sfondo; dovrà poi basarsi sulla moderna teoria della traduzione, impiegare tutta la tavolozza di mezzi della lingua letteraria classica russa per trasmettere la bellezza e multiformità dei testi biblici, il loro spirito, significato e stile, senza tuttavia allontanarsi dalla tradizione ecclesiale.
Una traduzione dei testi biblici può essere opera di un autore, o essere sperimentale, o destinata a un qualche pubblico delimitato. Per la Chiesa ortodossa russa è necessaria una traduzione che sia il frutto di un lavoro della collaborazione di un gruppo di traduttori e di esperti, sia biblisti sia ecclesiastici.
Il traduttore deve essere fedele al testo biblico e non ha diritto di introdurvi gli echi delle discussioni di moda, estranee al mondo della Bibbia. La Chiesa ortodossa è contraria alle cosiddette versioni della Bibbia “neutrali riguardo al genere”, nelle quali viene impiegato un “linguaggio inclusivo” per indicare Dio. Questa pratica esiste specialmente nelle traduzioni bibliche in inglese, dove Dio tradizionalmente si indica con il pronome “Egli”. Alcuni esponenti della teologia femminista sostengono che, poiché Dio non è di genere maschile, bisogna indicarlo con pronomi neutrali ovvero non adoprare nessun pronome. Invece dei termini tradizionali “Padre, Figlio e Spirito Santo”, aventi una risonanza tipicamente maschile, le femministe propongono di usare termini neutrali rispetto al genere come “genitore, redentore e alimentatore” (Parent, Redeemer e Sustainer).
Gli esponenti della teologia femminista evidenziano che nel corso di tutta la Scrittura viene data preferenza ai maschi rispetto alle donne. Nell’Antico Testamento si parla del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, non del Dio di Sara, Rebecca e Rachele; i comandamenti di Mosé sono rivolti agli uomini più che alle donne (“non desiderare la donna d’altri”); nel libro dei Proverbi l’autore si rivolge a un lettore maschile, mentre delle donne si parla in terza persona. Nel Nuovo Testamento i destinatari degli insegnamenti morali sono in prevalenza i maschi (cf Mt 5,31-32; Lc 18,29; 1Cor 7,27-28); nel menzionare il numero dei presenti vengono escluse le donne (Mt 14,21: «quelli che avevano mangiato erano circa 5000 uomini, senza contare le donne e i bambini»; cf. Mt 15,38); persino nel novero dei 144 mila salvati entrano sono i maschi (Ap 14,4: «questi non si sono contaminati con donne»). Nelle lettere di san Paolo si sottolinea la disuguaglianza tra donna e uomo (cf. 1Cor 11,3-16; 1Cor 14,34-35; Col 3,18; 1Tim 2,11-15). Per la teologia femminista, la presenza nella Scrittura di tanti testi che escludono o umiliano le donne è dovuta agli standard sociali e culturali di un’epoca patriarcale, in cui vissero gli autori di quei libri e, conseguentemente, quei testi devono essere corretti. La Chiesa ortodossa però ritiene tali correzioni inammissibili, poiché non solo altererebbero in modo radicale il testo della sacra Scrittura, ma porterebbero in molti casi a una revisione di quei principi etici che erano propri della Chiesa primitiva e che appartengono alla Tradizione ortodossa.
Le versioni femministe e altre “politicamente corrette” diffuse in Occidente sono viste dal cristiano ortodosso come un inammissibile attentato al testo sacro, confinante con il sacrilegio. Alla Chiesa ortodossa serve non solo una traduzione, ma una letteratura scientifica biblistica, che tenga conto sia della ricchezza della tradizione ortodossa, sia della biblistica scientifica. Dobbiamo liberarci dai pregiudizi rispetto a questa scienza.
Il biblista ortodosso ha dinanzi a sé un compito enorme: trovare il giusto approccio alla critica biblica, attingendo dal suo arsenale quello che può avere valore per lo studioso ortodosso. Per essere in grado di fare questa selezione, lo studioso deve avere a disposizione tutto l’arsenale della biblistica moderna: le lingue, la recente letteratura sulla storia dell’Antico Medio Oriente e sulla filologia biblica.
È necessario elaborare una Bibbia commentata ortodossa, che preveda diversi livelli di commento: testo logico (basato sui risultati della critica biblica), storico-archeologico (che consideri i dati dell’archeologia biblica), esegetico (con la interpretazione teologica del testo in base alle caratteristiche interne del testo stesso) e teologico-ecclesiale (basato sulla esegesi dei santi padri). Per un progetto di questa portata non basta uno o alcuni studiosi. Per la sua attuazione, come per altri progetti di tale ampiezza, occorre un’istituzione scientifica a pieno titolo.
La sacra Scrittura è il fondamento della Chiesa ortodossa. La teologia ortodossa contemporanea deve compiere ogni sforzo, affinché i cristiani conoscano questo fondamento e verifichino su di esso la propria fede e la propria vita.
Metropolita Ilarione di Volokolamsk,
(Presidente del Dipartimento
per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca)
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1Cf. il titolo del trattato di Eusebio di Cesarea, dedicato alla storia dell’umanità fino a Cristo: Preparatio evangelica.
2 Agostino, Contro la lettera di un manicheo 5, 6 (PL 42, 176).
3 V. N. Losskij, “Tradizione e tradizioni”, in Bogoslovie i bogividenie, M., 2000. p. 525.
4 V. N. Losskij, “La Tutta Santa”, p. 323–324.
5 B. Sove, “Tesi sulla Sacra Scrittura dell’Antico Testamento”, in Put’ 1936/1937. ? 52. p. 68.
6 V. N. Losskij, “Tradizione e tradizioni”, p. 529.
7 Sofronij (Sacharov), Strec Siluan, Paris 1952, p. 39.
8 Cf. Ilarion (Troickij), “Sacra Scrittura e Chiesa”, in Opere II, p. 153..
9 Cf. I. A. Čistovič, Storia della traduzione della Bibbia in russo, p. 130.
10 Filarete di Mosca, La dignità dogmatica … della traduzione slava della Sacra Scrittura, Mosca 1858.
11 A. A. Alekseev, Critica testuale della Bibbia slava, St. Peterburg 1999. p. 197.
12 Максим Исповедник. Мистагогия 6.
13 Massimo il Confessore, Capitoli sulla teologia e l’economia dell’ncarnazione del Figlio di Dio 1, 90.
14 Origene, De principiis IV, 11-13.
15 Ep. 120. 12; Comm. in Ezech. 16:30–31 // PL. 25. Col. 147CD; Comm. in Amos. 4:4–6 // PL. 25. Col. 1027–1028.
16 Giovanni Cassiano, Collationes XIV, 8.
17 Massimo il Confessore, Mistagogia 6.
18 A. B. Kartašev, Critica veterotestamentaria, Paris 1947. p. 96.
19 S. Bulgakov, Orthodoxie, Paris: YMCA-Press, 1964. p. 60.