La lotta contro gli idoli
L'incontro con il Cristo e l'adesione a lui comporta rotture e tagli: «Nessuno può servire a due padroni... non potete servire a Dio e a Mammona» (Mt 7,24). Abituato a vivere in una società caratterizzata dal «ritorno degli dèi», da un nuovo politeismo; una società che non conosce più il rigoroso aut-aut, ma legittima tutto sponsorizzando una cultura dell'et-et, il giovane è tentato di far convivere schizofrenicamente in sé il riferimento a Cristo con comportamenti e riferimenti «altri» che alla lunga non possono che svelare la loro incompatibilità. Metta in conto, il giovane, che vivere è scegliere, e scegliere comporta sempre una rinuncia. Una vita senza interdizioni, senza limiti, è inumana, non vivibile. La vita cristiana poi, è esigente! Questo dev'essere chiaro: illudere il giovane con gli slogan di certa mondanissima pubblicità vocazionale che scegliere Cristo significhi scegliere tutto è puramente falso. E sicuramente stupido. La vita del battezzato è posta fin dall'inizio sotto il segno della rinuncia: «Rinunci a Satana e a tutte le sue seduzioni?». La risposta a tale domanda sarà data nel corso della vita e la giovinezza è il tempo in cui occorre esercitarsi a questa lotta: «Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il Maligno. Non amate né il mondo, né le cose mondane» (1 Gv 2,14-15). Vi sono quindi dei «no» da dire, ma li si potrà dire con libertà e convinzione solo quando è ben assodato il «sì» al Cristo, l'amore per lui. Altrimenti la vita cristiana si presenterà sotto il segno di leggi e divieti a cui non si capisce perché si debba obbedire. Oggi più che mai il cristianesimo non è un discorso autoevidente, ma necessita di motivazioni e si sostiene solo grazie a una lotta contro le tentazioni. Lotta interiore che è più aspra di molte lotte che avvengono fuori di noi, ma che è - secondo l'espressione patristica - «il versare il sangue che attrae il dono dello Spirito». Sono convinto che il giovane che non voglia dissipare la propria vita debba porre in atto una «resistenza interiore», una lotta spirituale, e darsi una certa disciplina, una «regola di vita» che lo aiuti ad acquisire il dominio di sé. Regola di vita che richiede anzitutto una fedeltà quotidiana a un tempo di soliludine e di silenzio. Si tratta cioè di assumere e ordinare, fino a farle divenire strutturanti di una vita, delle tensioni e dei bisogni che si manifestano naturalmente nell'adolescenza e ne giovinezza (il bisogno di silenzio, di star solo) impedendo anche o che assumano forme patologiche (mutismo, isolamento).
1. L'istanza di riservare nella giornata un tempo per pensare e pregare è vitale. E spesso è l'unica maniera per rendersi conto de preziosità del tempo stesso - cioè della vita - e per pervenire a u concezione del tempo più unitaria rispetto a quella frammentata ch proposta oggi dai ritmi incalzanti e veloci della società. Dare , tempo - anche poco, ma fissato e costante - all'ascolto della Parola, Signore fino a rispondergli in un colloquio semplice e personalissin è il modo con cui il giovane confessa il Cristo quale Signore de propria vita, del proprio tempo.
2. La solitudine non è per fuggire gli altri, ma per incontrare stessi fino ad habitare secum e per assumere più in verità gli altri. Nella solitudine possiamo purificare il nostro sguardo e le nostre relazioni con gli altri: nella solitudine gli altri non sono assenti, ma li possiamo guardare maggiormente con lo sguardo di Dio stesso, coglierli nel loro mistero, nella loro vocazione profonda. Così la solitudine diventa fornace che forgia il nostro spirito critico e la nostra purificazione. Lo stare sempre insieme non è automaticamente espressione di buona qualità delle relazioni! La solitudine può così insegnare l'importanza della distanza, della differenza, del rispetto dell'alterità per le relazioni interpersonali, altrimenti c'è solo un approccio fusionale in cui degli altri faccio la mia preda oppure mi lascio passivamente assorbire da loro. Ma questo significherebbe una regressione ad un tipo di affettività aggressiva e narcisistica infantile. Tipica di chi non vuole crescere affrontando il rischio della relazione, della libertà e della responsabità.
3. In un mondo assordato da parole, suoni, rumori, messaggi verbali e non verbali il silenzio è ormai una necessaria misura igienica. Solo dal silenzio potrà nascere una nostra parola non ripetitiva,non superficiale, non sloganistica, non banale, ma significativa e autorevole. Il silenzio esteriore apre la via al silenzio interiore e quest'ultimo dà profondità alla persona. Il silenzio poi non solo ci svela le presenze e le voci che ci abitano interiormente, ma dispone il cuore ad ascoltare la Parola del Signore e ad accogliere la sua presenza per farla regnare in noi.
È con queste armi del pensare e del pregare in un tempo di solitudine e silenzio che il giovane può esercitarsi nella lotta spirituale. Cioè a discernere i pensieri, le suggestioni, le immagini che colpiscono la mente e seducono il cuore stimolando la persona ad un'azione di cui si percepisce il carattere negativo e peccaminoso perché si tratta di pensieri che turbano e tolgono la pace. Occorre allora spezzare quei pensieri sul loro nascere senza intrattenersi con loro, senza iniziare un dialogo che forzatamente finirebbe con l'acconsentimento, cioè con l'esternare in un gesto la suggestione interiore, con la consumazione del peccato.
Se l'acconsentimento poi si ripetesse ci si ritroverebbe preda di un vizio, di un'abitudine. Ed è molto difficile liberarsi di un'abitudine.
Sì, anche il giovane conosce le grandi tentazioni dell'affermazione di sé e del potere, del denaro e dei beni, della sessualità assolutizzata ed eretta a idolo. Conosce certamente la forza di seduzione di queste possibilità, ma se conosce anche il Signore riceverà i criteri di giudizio e la forza per lottare. Conscio che la vita cristiana è a caro prezzo proprio perché è un'avventura umana e spirituale ricca e profonda! Ma per impegnarsi in quest'avventura il giovane deve rispondere alla personalissima interpellazione del Cristo: «E voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29).
Enzo Bianchi