3 agosto
Rashi (1040-1105)
giusto d'Israele
Nel 1105, il 29 di tammuz secondo il calendario ebraico, muore a Troyes, dopo aver scritto la parola «pur,» Rashi, uno dei più grandi commentatori medievali della Bibbia e del Talmud.
Rabbi Shelomò ben Jizchaq - da cui l'acronimo Rashi - era nato a Troyes nel 1040, in una famiglia di dotti talmudisti. Dopo aver studiato presso le accademie rabbiniche di Worms e di Magonza, egli fece ritorno a Troyes e trovò lavoro presso un'azienda vinicola ebraica. Dal felice connubio tra la sua vasta cultura e l'amore per la terra e per le realtà semplici e umane, Rashi trasse l'ispirazione per dedicarsi alla stesura di splendidi commenti alle Scritture ebraiche e ai testi talmudici. In un linguaggio semplice e profondo, egli si adoperò con tutto se stesso per chiarirne i passi oscuri, e di lui i posteri diranno giustamente che «senza Rashi Israele avrebbe perduto la possibilità di comprendere il Talmud babilonese». Attorno al 1070, Rashi diede vita a una propria jeshivà (accademia di studio), alla quale accorsero discepoli da ogni parte della Francia. Supremo assertore della verità e uomo di estrema coerenza morale, egli seppe insegnare al tempo stesso con ogni suo gesto e parola l'umiltà e la comprensione per le debolezze umane. I suoi commenti troveranno favorevole accoglienza anche presso gli esegeti cristiani dei secoli successivi, grati al maestro di Troyes per la luce gettata dalle sue parole sulla loro comprensione del Primo Testamento.
Rashi morì a Troyes, a pochi anni dai massacri di ebrei commessi dai partecipanti alla prima crociata, di cui aveva predetto il fallimento.
TRACCE DI LETTURA
Io ritengo che Salomone abbia visto, in Spirito santo, che in futuro i figli di Israele avrebbero subito esilio dopo esilio, distruzione dopo distruzione, e che durante questo esilio avrebbero rimpianto la loro gloria di un tempo, e avrebbero ricordato l'affetto di una volta, quando erano il suo tesoro personale fra tutti i popoli, così da dire: «Mi leverò per ritornare al mio primo marito, perché era meglio per me allora di adesso». E avrebbero ricordato i suoi favori, e tutta la loro infedeltà, e i beni che egli promise di dare loro alla fine dei giorni.
Per questo Salomone ha composto questo libro, sotto ispirazione dello Spirito santo, attraverso l'immagine di una donna avvolta nella vedovanza di un marito vivente, che ha il desiderio del marito, «che si stringe al suo amato», che rammenta l'amore della sua giovinezza per lui. Anche il suo amato si affligge dell'afflizione di lei, e rammenta i favori della sua giovinezza, la grazia della sua bellezza e l'integrità del suo comportamento, per cui si è legato a lei con un amore forte, manifestandole così che non di sua volontà l'ha afflitta e che il suo ripudio non è vero ripudio, perché essa è ancora sua moglie ed egli suo marito, e tornerà ancora da lei.
(Rashi, Prologo del Commento al Cantico dei cantici).
LE CHIESE RICORDANO...
COPTI ED ETIOPICI (27 abīb/ḥamlē):
Abamon di Alessandria (III sec.), martire (Chiesa copto-ortodossa)
Masqal Kebrā (XIII sec.), regina (Chiesa etiopica)
LUTERANI:
Josua Stegmann (+ 1623), poeta a Schaumburg
MARONITI:
David (XI-X sec. a.C.), profeta
ORTODOSSI E GRECO-CATTOLICI:
Isacco, Fausto e Dalmazio di Costantinopoli (IV-V sec.), igumeni
VETEROCATTOLICI:
Lidia (I sec.), confessora