Realizzare la pace, edificare la comunità
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Forse, allora, è importante smettere di misurare il progresso e il successo nel modo in cui li valuta la società. Il criterio del successo non può essere definito in termini quantitativi: per Cristo la fine è stata la croce, per Giovanni il Battista la fine è stata la decapitazione. Tuttavia, “diventare figli” implica anche qualcos’altro. Realizzare la pace significa edificare la comunità, e la comunità comincia riconoscendo la dignità di ogni persona, che è preziosa agli occhi di Dio. È per questo che, interrogato a proposito della grandezza, Cristo ha indicato un bambino e ha detto: “Se non cambiate [lett.: vi pentite] e non diventate come questo bambino, non entrerete nel regno” (Mt 18,2-3). Questo era un gesto radicale in un tempo in cui ai bambini erano negati i diritti umani e in cui i bambini non avevano accesso alle risorse fondamentali. Per la loro età e per la legge essi erano segregati dal resto della società. Quando oggi sento parlare di tratta dei bambini, mi chiedo quanto ci siamo davvero allontanati.
Certo, “operare la pace” è un lavoro duro. Eppure è la nostra unica speranza di restaurare un mondo in frantumi. Lavorando per la pace, lavorando per guarire l’ambiente, rimuovendo gli ostacoli alla pace, evitando ciò che arma il mondo, possiamo – almeno questo è ciò che ci è assicurato – udire una voce nel nostro cuore che dice: “Questo è il mio amato. Nel mio amato – e in lui, in lei, in te – mi sono compiaciuto”.
