Solo l’amore può vincere il mondo
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16 maggio 2024
Dal Vangelo secondo Giovanni - Gv 16,23b-33 (Lezionario di Bose)
In quel tempo Gesù disse: «23 In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.25Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l'ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. 26In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: 27il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. 28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».
29Gli dicono i suoi discepoli: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. 30Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». 31Rispose loro Gesù: «Adesso credete? 32Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
33Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
La separazione forzata da una persona amata, che ha saputo arricchire la nostra umanità, non è mai qualcosa che si possa accettare facilmente e in poco tempo. L’Ascensione che abbiamo da poco celebrato ricorda proprio questo: il distacco di Gesù dai suoi discepoli. Se in Luca questo distacco è preceduto dalla presenza rinnovata e nuova di Gesù in mezzo ai suoi, che si prolunga per la durata simbolica di quaranta giorni, in Giovanni lo stesso ruolo di preparazione è svolto dal lungo discorso che Gesù rivolge ai discepoli dopo aver lavato i loro piedi, venuta l’ora di tornare al Padre, ora dell’amore giunto a pienezza (cf. Gv 13,1).
In questo discorso, di cui oggi leggiamo gli ultimi versetti, emerge più volte la fatica dei discepoli nell’ascoltare e comprendere colui che hanno seguito per tre anni, condividendo speranze e prove. Il loro maestro, il Signore, si mostra ancora una volta capace di riconoscere la loro (e nostra) debolezza ma, accanto al dolore che attraversano, presenta anche la gioia a cui sono chiamati; e, se il suo addio è indubbiamente una necessità, egli rivela loro che è anche un’opportunità (cf Gv 14,2-3; 16,7). Guardando alle nostre vite, possiamo riconoscere che alcuni distacchi, per quanto dolorosi e faticosi, si sono rivelati in seguito occasioni di crescita e di approfondimento della relazione.
In effetti, questo è quello che, nelle nostre vite come in quelle dei discepoli di allora, conta: la relazione. Una relazione che si basa sul già di quanto vissuto insieme e sul non ancora della promessa; una relazione che è invitata ad innestarsi sull’amore che unisce il Padre al Figlio e il Figlio al Padre. Certo, il nostro amore talvolta si mostra vacillante, ma è a partire da quel poco che possiamo entrare in gioco, chiedere nel nome di colui che ci ha manifestato l’amore del Padre, più alto del cielo (cf. Sal 103,11), e attendere con fiducia che la nostra gioia sia colmata. Ma, se Gesù unisce strettamente amore e fede (cf. Gv 16,27) noi, come i discepoli, possiamo cedere alla tentazione di saltare l’attesa, di anticipare il non ancora dicendo: noi sappiamo, noi conosciamo, vale a dire noi possediamo (cf. Gv 16,30). Seguendo questa strada, la fede diventa un insieme di contenuti più che il rapporto con una persona, perché è sempre possibile padroneggiare dei contenuti e servirsene, mentre nella relazione e nell’amore dobbiamo accettare di non essere padroni di niente e di nessuno. Non a caso, l’amore scompare dalle parole dei discepoli, e con esso pure la gioia e il dolore! Tutto si appiattisce in un presente senza misteri, senza sorprese, che non suscita paura ma è altrettanto sterile di desiderio.
Di fronte a questa nuova incomprensione sarebbe lecito gettare la spugna; ma Gesù, che conosce meglio di noi i nostri cuori (cf. Gv 2,25) non si lascia scuotere né dal fraintendimento, né dall’imminente defezione di chi si è appena dichiarato saldo: quello che è veramente saldo, infatti, è l’amore che lo lega al Padre; è a partire da esso che vince il mondo. Ma noi, sapremo credere a questa vittoria, sapremo credere all’amore del Padre manifestato a noi dal Figlio? O preferiremo attaccarci a ciò che pensiamo di conoscere e di possedere, pronti a tremare e a disperderci al primo accenno di tribolazione?
fratel Federico