L'esperienza poetica di Dietrich Bonhoeffer
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In quella cella scriverà lettere teologiche e lettere private, schemi di ricerca e abbozzi drammaturgici, preghiere e scritti autobiografici e introspettivi; nell'arco di un anno e mezzo produrrà una serie di scritti che verrà poi raccolta nel volume Resistenza e resa, la sua opera più famosa, in cui riflette sul rapporto tra fede e azione, tra religione e mondo. Un intenso percorso scrittorio che ad un certo punto lo porterà ad accarezzare anche le dolci corde della poesia, precisamente dal 3 giugno al 19 dicembre del 1944: è il dramma del prigioniero che vuole superare l'isolamento. I versi bonhoefferiani non possono essere letti dimenticando il buio della dura prigionia da cui provengono.
Anche nei momenti più disperati della nostra esistenza non possiamo dimenticarci della poesia che ci circonda: l'alba, il tramonto, una farfalla, il piede di un bambino, il sole, la luna, le stelle, il parlare con Dio, un sorriso, un passo di danza, un sogno, un abbraccio, Bach, l'arte, un brivido, il mare, il seno di una madre, le ciliegie, la Venere di Botticelli, una panchina, la croce. A volte capita che l'uomo, in alcuni momenti cruciali della sua vita, senta l'esigenza di trasformare parole in versi, forse accantonati, come nel caso di Bonhoeffer, perché ritenuti dagli studiosi come momenti di autoindulgenza poco significativi, come tentativi incerti di ridire nell'ermetismo della riga spezzata ciò che è spiegato meglio altrove, come una soave stupidità di una teologia in versi. Ma questo significa togliersi il privilegio di conoscere le scritture notturne del teologo luterano, la musicalità bachiana che pervade i suoi versi, gli echi di Dostoevskij e Rilke, il patrimonio innologico luterano, i numerosi richiami biblici nonché un pezzo dell'anima di uno dei pensatori più fecondi del XX secolo.
Solo dieci poesie: poche pagine di un uomo che ha invece dedicato grande impegno ad una scrittura diversa e corposa, poche pagine che meritano una grande attenzione. La prima poesia, Passato, ci racconta la prima fase della carcerazione bonhoefferiana: quella della disperazione. Il passato sembra per il teologo luterano l'unica certezza di fronte all'incertezza dell'esistenza di un presente e di un futuro, e allora questa parola diventa ripetizione ossessiva tra i versi che rilasciano domande dolorose: Vita, che m'hai fatto? Oggi e domani compaiono soltanto nell'ultimo verso accanto al nome di Dio (prega che Dio ti custodisca, oggi e domani), nel verso della speranza. Questa poesia insieme alle ultime due, Jona e Da forze buone, sono dedicate alla sua fidanzata Maria von Wedemeyer, quasi a significare che l'amore, e soltanto l'amore, è il motore, l'inizio e la fine della nostra vita. Le sei poesie centrali sono invece indirizzate a Bethge, amico e interlocutore della ricerca intellettuale e spirituale di Bonhoeffer; accanto al tema dell'amore anche quello dell'amicizia è centrale per il teologo luterano (Quando il sole mi sarà scomparso/vivi tu per me, fratello!; il fiore più prezioso, rarissimo/è l'amico all'amico). Il vero protagonista di questi versi è Dio, l'interlocutore a cui Bonhoeffer rivolge domande difficili (Chi sono, io?), il padre nel quale si rifugia (A tutti gli uomini va Dio nella distretta loro) nonostante i suoi continui riferimenti alla fede barcollante, alla monotonia, al tedio, alle catene, alla sventura, all'inferno, alla dannazione.. perché "è un fuoco ardente/stare come infedele davanti alla Fedeltà".
Tanto si potrebbe dire sui silenzi della chiesa, sulle sue omissioni, sulle sue colpe, sulle sue responsabilità di fronte al nazismo, poco forse si conosce di figure straordinarie come quella di Bonhoeffer, la cui presa di posizione, che può essere ritenuta discutibile, ancora oggi continua a suscitare dentro i cuori dei credenti la pungente domanda di un uomo che ha avuto l'audacia di una responsabilità identica davanti a Dio e al mondo: Io, se mi trovo in quel posto, devo saltare e afferrare il conducente al suo volante?
FEDERICA GRAMICCIA
ICN-NEWS.com
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DIETRICH BONHOEFFER
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