L’apertura del cuore, lavoro che accompagna l’intera vita del monaco, richiede umiltà e coraggio, il coraggio di volere vedersi in verità e l’umiltà di mostrarsi e dirsi a una persona più matura ed esperta per potersi conoscere attraverso lo specchio che l’altro ci offre.
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Il “non fare riserve di se stessi” richiede quel fondamentale monastico che è l’obbedienza, l’unico che, per quanto ci contesti in profondità, e forse proprio grazie a questo, ci consente anche di liberarci dal soggettivismo e dalla tirannia del nostro psichismo, e di operare una conversione, un cambiamento appunto, radicale.
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Ognuno si interroghi sullo stile di vita, sulle spese, sul rapporto con il denaro, sul possesso e sull’uso di mezzi di comunicazione, per vedere se questo risponde a una misura monastica comunitaria o se non corrisponde neppure a quello che la Regola chiama “stile di vita semplice e povera di ogni cristiano”
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La struttura della nostra vita monastica ci spinge a una radicalità di condivisione del tempo e dello spazio, delle attività e degli oggetti: orari comuni, preghiere in comune, pasti in comune, ritmi giornalieri comuni a tutti. E poi, i compiti e i lavori comunitari, le attività della comunità al cui servizio ci si pone
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