Relazione di Iosif Bosch, vescovo di Patara
XXI Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa
LE ETÀ DELLA VITA SPIRITUALE
Bose, 4-7 settembre 2013
in collaborazione con le Chiese Ortodosse
RELAZIONE DI IOSIF BOSCH, VESCOVO DI PATARA
Bose, 4 settembre 2013
IOSIF BOSCH, vescovo di Patara
(delegato del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli,
vescovo ausiliare di Buenos Aires della metropolita del Patriarcato ecumenico)
Ascoltiamo la voce dell’Apostolo: “Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.” (1Cor. 1:10). E la sua domanda ai cristiani di Corinto: È forse diviso il Cristo? (1Cor 1,13).
Prima di avviare una riflessione sistematica sul nostro argomento, vorrei specificarne il quadro concettuale. Per questo dovrò iniziare con una domanda che sembra forse troppo generale: che cosa è il cristianesimo?
Il cristianesimo è considerato da filosofi, pensatori e anche da molti uomini di fede, come una religione. In termini generali, si può affermare che in Occidente sono coesistite storicamente due definizioni di religione, una “sostanziale” e l’altra “funzionale o pratica”. La prima interpretazione definisce la religione a partire dal contenuto della sua fede, mentre la seconda la definisce in base al suo ruolo o alla sua attività svolta nelle società, cioè a partire da come la religione serve a “legare” – oppure “unire”, se si vuole – i membri di una comunità in un nucleo omogeneo. Associata a questo significato, c’è un’altra linea di interpretazione che suggerisce che ciò che distingue un’istituzione religiosa da un altra è il trattamento delle ultime preoccupazioni esistenziali come la sofferenza, la frustrazione o la morte. In questo caso, la religione avrebbe la funzione di rendere capace l’uomo di affrontare in modo più efficace queste realtà, e cosí trovare la felicità.
Puó il cristianesimo essere incorniciato all’interno di questa diverse definizioni di religione? Ovviamente sì. Tuttavia, questo non significa che queste interpretazioni definiscano la realtà ultima del cristianesimo. Di fronte alla domanda: “Il cristianesimo è una religione?” la mia risposta è categorica: “il cristianesimo non è una religione!”.
Il cristianesimo è la rivelazione divina. Esso non ha origine nell’uomo, ma in Dio stesso; è κοινων?α organica e metafisica tra Dio e le sue creature; è la guarigione, la trascendenza, il superamento dell’uomo in Dio e in se stesso: dunque il cristianesimo è Dio in noi.
La realtà totale del cristianesimo trascende qualsiasi definizione di religione, in quanto è una nozione puramente teologica: in effetti, teo-logia significa che Dio parla di se stesso agli uomini! Dio si rivela, Dio si comunica, Dio si identifica, Dio si apre, Dio diventa accessibile, Dio diventa partecipabile. Per una percezione religiosa, è l’uomo che parla su Dio, mentre per il cristiano, è Dio che parla di se stesso: rivelazione, poi, è teologia. È perché Dio parla all’uomo, che quest´ultimo può parlare di Lui. In quest’ultima prospettiva, ciò è assiomatico.
Il Prof. J. Romanides parla della “malattia della religione”. In effetti, per il grande teologo dogmatico greco, la religione viene definita come l’identificazione dell´Increato con il creato nell’anima della persona. Per Romanides ogni identificazione delle rappresentazioni dell’Increato con realtà che provengono dall’ambiente creato, è prodotta dal disordine dell’energia noetica che è nell’uomo, lo conduce al livello dell’idolatria ed è il fondamento di ogni eresia.
La comprensione teologica della Divinità Uni-trina implica che in essa si auto-realizzano ab aeterno l’unità e la molteplicità, l’identità e la differenza, la positività e la negatività. Queste categorie, anche se osservabili e tangibili nella realtà creata, devono essere applicate all’essere Uni-Trino in modo assoluto. Di conseguenza, queste categorie proprie dell’Essere assoluto in sé, lungi dall’essere considerate come una sorta di imperfezione o diminuzione, vengono valutate come un paradosso sovra-essenziale della perfezione divina.
Questa doppia, ma nello stesso tempo unica, realtà dell’Essere Divino, dell’actus purus, viene necessariamente manifestato entro la relatività della creazione come creatio ex nihilo: la Monade Tri-ipostática, suprema e ultima unità e molteplicità auto-realizzata nella sua immanenza divina, deve essere considerata origine sia dell’identità sia della pluralità nel creato.
Dio, esse in se nella sua essenza, ma ad alio nella sua energia, viene considerato, quindi, come “endo” ed “exo”, ossia relazionalità pura ed assoluta in se stesso – e verso se stesso – in quanto Uno e Trino, ma anche verso il creato, secondo la sua energia increata.
In questo modo, soltanto un Dio trinitario può rendere plausibile la comprensione ultima della realtà creata. Nelle diverse ipostasi divine è un fatto ab aeterno l’ essere-uno-e-lo-stesso-non-essendo-ed-essendo-altro: realtà sovra-essenziale che effettivamente compie l’intima auto-realizzazione di Dio in sé - ad intra - nella distinzione ipostatica e -ad extra- nei suoi divini progressi.
Quindi, questo Dio Uno e Trino, che contiene in sé stesso, in maniera originale ed unica, differenza e pluralità, crea ed estende nella sua creazione, quello che Egli è per natura -φ?σει- cosicché per grazia -χ?ριτι-, il creato, nella differenza e nella pluralità, si perfeziona unitivamente.
Come abbiamo già esplicitato precedentemente, l’unica e triplice azione trinitaria ad extra -incomprensibile alle nostre capacità intellettuali- si identifica con il divino Eros e Agape, che spinge naturalmente e volontariamente la Divinità in qualche modo a “ritirarsi” e “lasciare spazio” all’ “heterousio”, a quello che non è consustanziale, -all´altro per eccellenza, all’assolutamente diverso-, in una sorta di kenosis erotica ed estatica, volontaria e liberale, che fa dell´inconsustanziale un essere libero e, per questo, con tutte le prerogative e le capacità di “annullare”, per grazia, lo spazio ontologico esistente tra i due diversi, in virtù della stessa azione, forza e realtà ontologica che li mantiene necessariamente in-consustanziali, in quanto conserva l’alterità come conditio sine qua non per poterla, paradossalmente e per grazia, trasformare.
Necessariamente si entra nel campo del paradosso: il ritirarsi, il limitarsi, o lo svuotarsi di Dio non significa distanza oppure mancanza ontologica nei confronti della sua creazione, ma significa piuttosto l’irruzione -quasi violenta- volontaria e naturale di sé stesso nella sfera del “totalmente altro”.
Quell’uscita, quel dilatarsi di Dio da se stesso, dall’eterno e intimo della sua medesima essenza verso “l’altro”, è l’azione che paradossalmente “dà luogo” al “necessariamente altro”, e produce una sua esistenza in-dipendente, ma allo stesso tempo di-pendente da Dio, Colui che, quando sembra ritirarsi, in realtà avanza in un movimento estatico e volontario, creando, sostenendo e perfezionando ciò che “non-è-Lui”, ma che tende, in virtù della sua di-pendenza e in-dipendenza, “ad-essere-Lui”, in un movimento inverso che fa essere “colui-che-non-è” come “Colui-che-è”, sempre nel rispetto dell’alterità fino a quando questa viene superata per e nella medesima forza che la mantiene: la divina onnipotenza, o la divina bontà, che si muove nel piano creato attraverso le energie in-create.
Parliamo , dunque, della Divina Provvidenza, o Economia: la bontà di Dio che dona con abbondanza e gratuitamente l’essere, la vita, la saggezza e la perfezione alle creature che, spontaneamente nella loro di-pendente in-dipendenza, tendono naturalmente e drammaticamente verso di essa.
La Chiesa inizia con la creazione, si sviluppa nella storia e si assimila perfettamente alla “Gerusalemme Celeste” nella seconda Parusia di Cristo. Sembrerebbe che in base a questa interpretazione la creazione sarebbe identificata con la Chiesa; infatti, nessuna parte della creazione è comprensibile senza la presenza della chiesa.
La chiesa comprende trasversalmente l’intero creato in tempo e spazio. La chiesa viene considerata, quindi, simbolo, tipo e immagine:
• della Tri-Unità sovra-essenziale
• della creazione
• del mondo sensibile
• dell´uomo
• dell’anima umana
Come immagine di Dio, la Chiesa gode per natura di unità, identità, diversità, pluriformità, relazionalità, socialità e dinamismo; come immagine della creazione, la chiesa è l’auto-coscienza del creato che costantemente lo riconduce all’Archetipo; ancora, come immagine del mondo sensibile, la chiesa viene considerata come un organismo vivente che si autorealizza armonicamente nel tempo e nello spazio; come immagine dell´uomo, evoca la creazione a immagine e somiglianza di Dio, comune ad essa e all’uomo; infine, come immagine dell’anima umana, rende evidente la libertà dell’uomo, che soltanto può essere concepita e superata entro i suoi illimitati confini.
Questa chiesa viene interpretata come immagine principalmente in virtù della sua origine divina, ma anche in virtù della sua natura creata. Essendo immagine del Creatore, può poi essere immagine del creato a tutti i livelli. Questa capacità di riflettere -di essere immagine- non può che essere interpretata come il rapporto più intrinseco con Dio e con il creato.
Quindi sostituiamo l’identificazione della Chiesa e della creazione, con l’assimilazione della seconda alla prima, in quanto la chiesa è la potenza che comprende in se stessa l’intero creato. Inoltre sostituiamo l´identificazione di entrambe le realtà, con la relazionalitá, in quanto creazione e chiesa sono realtá intrinsecamente correlate: il mondo e la creazione non sono concepibili, per il teologo ortodosso, al di fuori della struttura della chiesa e, inversamente, la Chiesa non può esistere al di fuori del mondo.
Questa assimilazione del creato che la Chiesa realizza, la realizza perchè è immagine di Dio, vale a dire in quanto è intrinsecamente correlata con Lui e con la sua energia sul creato, che collega, comprende, assimila e perfeziona tutte le cose in sé -ed a sé-. La chiesa, come legittima immagine e ricevente dei divini progressi, estende questa energia in tutto il creato, facendo di tutte le cose un organismo unito e armonico, e perfezionando tutto secondo la loro ricettività.
L’Eros/Agape divino ha voluto che gli uomini -e tutto il creato- fossero coinvolti nella salvezza che, di per sé, è una evoluzione della meta primordiale di Dio: che tutti gli uomini, cioè, siano immagini viventi della comunione del Dio trinitario, e vengano configurati nella vita del Dio comunionale.
Questa comunione, voluta fin dall’inizio e ora proposta in maniera innovativa e definitiva per l’azione del Dio Uno e Trino, è la Chiesa. In essa comincia a compiersi la promessa di Cristo riguardo al regno di Dio: la communio universale. In questo modo, la Chiesa è l’immagine più evidente della Trinità nel campo creazionale.
Secondo Tertulliano, la chiesa è il livello operativo e il farsi corpo della Trinità poiché dovunque siano i tre -il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo-, vi è anche la chiesa, che è il corpo dei tre.
La Chiesa può essere interpretata come imago Trinitatis, in quanto è il popolo di Dio, l’ambiente naturale dell’azione trinitaria di fronte alla sua controparte creata; l’atmosfera legittima in cui tutto il creato riflette la sua controparte increata -Dio- e si assume come parte di un tutto, all’interno di una diversità che garantisce alterità e identità; e, infine, lo spazio di incontro reciproco tra i due heterusii: commumio-κοινων?α: unità comune, κοιν? ?νωσις. Ma quella zona, quello spazio, quella atmosfera viene superata dai medesimi protagonisti dell’incontro, in quanto essi sono lo spazio; essi stessi diventano la zona dell’incontro, giacchè insieme sono la chiesa.
Quell’alterità primordiale, il “no” ontologico, l’essere “di fronte” all’altro, in nessun modo -come abbiamo già detto- riferisce negatività; al contrario, è l’origine e la premessa della comunione; infatti, la distanza viene invertita e “annullata” -superata- diventando così unità; mentre il “no” originario diventa un “sì”, l’essere “di “fronte” diventa un essere “insieme”; tutta l’ontologia, la natura, è superata e trascesa -mai soppressa o pervertita- dall’Eros/Agape .
Origine della Gerarchia
Ecco l’origine e il contesto in cui si deve comprendere e interpretare la Gerarchia: la Tearchia che crea, sostiene e perfeziona l’universo, attraverso, in e per il suo divino Eros-Agape. Precede la Tearchia Sovra-sostanziale e segue naturalmente la Divina Economia o Provvidenza, la sua naturale azione e anche il luogo, lo spazio e il clima in cui si vive e si sviluppa il-non-essere-come-essa-è: il vuoto di Dio, che è riempito con l’ “altro”, colui che riempie il vuoto con quella naturale tensione e attrazione verso la Deità. La tensione e l’ardente desiderio vincono l’assenza, poiché essi stessi sono presenza in potenza -δυν?μει- di Colui-che-è assolutamente in colui che è essendo.
La Tearchia è la ragione d’essere della Gerarchia, che secondo il divino Dionigi ha come fine commune amare costantemente Dio e suoi sacri misteri: ancora una volta l’Agape-Eros, che Egli effonde, e nella libera unione con Lui perfeziona “l’altro-creato”. Quell’amore che è in-fuso ed ef-fuso naturalmente nella creazione -e soprattutto negli esseri razionali- consiste nel conoscere gli esseri così come sono; nel contemplare, comprendere e custodire la Sacra Verità che ci è stata rivelata; nel partecipare il più possibile attraverso l’unione deificante con Colui che è l’unità stessa: la Gerarchia, infine, è la gioia della visione sacra che alimenta la comprensione, riempie lo spirito e divinizza tutti coloro che giungono fino a lì. Di conseguenza la Gerarchia, che è il fondamento della Chiesa, è un dono, un carisma, che garantisce la deificazione e la perfezione di tutto l’essere intelligibile.
Ex parte Dei, la Gerarchia -e la Chiesa- non sono necessarie; ex parte hominis, tuttavia lo sono, in quanto si costituiscono fonte di salvezza; in una delle espressioni più radicali e sovversive della bontà divina, dell’azione divina sul creato, della divina economia, che rende superfluo il necessario, e il superfluo imperioso, per amore: e qui il concetto chiave è quello di “partecipazione”. Dio si partecipa, si dona, lascia il posto all’altro cosicchè egli, assumendo quel che non è per natura, lo diventi per grazia. Ancora una volta il Dio che “si ritira” e che “fa spazio all’altro” cosicché egli prenda il suo posto, e “partecipi” e “faccia partecipare” agli altri in quello che è germe di deificazione.
Dalla vita spirituale all’unione dei cristiani
Teologia mistica
La vita spirituale è il processo connettivo di assimilazione dell’uomo al suo Creatore. Tale processo è unificante in tre aspetti:
1 - unisce l’uomo in se stesso, in tutte le sue facoltà e potenzialità
2 - unisce l’uomo con i coetanei -e con tutto il creato-
3 - unisce l’uomo al suo Creatore increato
Questo processo, avendo come scopo un’unificazione, è liberatorio. In questa prospettiva, l’uomo al fine di unificarsi ha bisogno di liberarsi delle immagini (preconcetti, idee, pregiudizi) che ha di sé -e che altri hanno su di lui-, del suo “ego” e di ogni tendenza narcisistica.
L’intelletto/spirito -νο?ς- dell’uomo si unisce a Dio essendo stata operata in lui tale purificazione. Così, la purificazione e la liberazione dell’ “io” sono un presupposto necessario per l’unione spirituale. Questa purificazione si basa sulla preghiera: in questo modo, attraverso la preghiera, l’intelletto della persona progressivamente ri-configura i suoi rapporti con gli esseri.
L’unione con Dio non si verifica durante questa fase, ma dopo, quando lo Spirito Santo illumina, attraverso la sua energia, la persona che si trova al limite delle sue limitazioni naturali -nell’ultimo momento della sua umanità- e attende la rivelazione sovra-cognitiva del Paraclito.
Certamente i processi spirituali di purificazione, illuminazione e glorificazione non interferiscono con i processi logici dell’uomo, ma neanche li annullano assolutamente: l’unione “secondo la superiorità” differisce radicalmente da tutto il compito intellettivo, dal momento che non si ottiene attraverso apofásis e catafásis, ma attraverso la preghiera continua, l’amore disinteressato, l’adempimento dei comandamenti di Dio, la purificazione delle passioni negative e l’esercizio della virtù. Tutti questi fattori hanno come fine ultimo la triplice unione, che avviene dopo aver raggiunto la pausa dalle energie intellettive.
L’unità divinità-teologo è caratterizzata da un doppio movimento:
Il termine καθ’?περοχ?ν -secondo la superiorità- non solo evidenzia “l’ascesa dell’uomo”, ma soprattutto “la discesa di Dio”, che si realizza poiché esiste la “suprema con-discendenza” che, attraverso l’energia divina, permette la conformazione dell’uomo a Dio. Tuttavia, l’elemento umano non viene annullato, e questa realtà davvero viene specificata e salvaguardata dal termine patristico di sinergia.
La vita spirituale si identifica, dunque, con la discesa erotica e drammatica di Dio sulla creazione e con la libera salita della personaalle regioni della Trinità sovra-sostanziale. Tutto un mistero, tutto un paradosso, tutta una luce, la vita spirituale dell’uomo si identifica con l’amore divino, che permette l’incontro e la conoscenza degli “in-con-sostanziali”.
In definitiva, solo tramite l’amore disinteressato si produce l’unione con Dio, oltre la filosofia, la religione, la teologia, nei limiti del creato, là dove l´umano conclude e “fa spazio” alla divina dilatazione, là dove dominano l’impossibilità e la debolezza umana, e Dio, come forza suprema, guarisce ogni energia negativa della natura lapsa creata. Erotica, quindi, terapeutica e drammatica è la vita spirituale dell’uomo -la vita in Dio- che supera ogni umana “metodologia” religiosa, permettendo all’uomo di conoscere Dio nel paradossale simposio di amicizia e di Eros: simposio di agape, dono celeste, vita eterna.
Secondo il Prof. Romanides il risultato del cortocircuito tra lo spirito dell’uomo nel cuore e il cervello è l’amore egoistico, la cui espressione più alta è evidente nella superbia dell’uomo. L’amore dell’uomo che non è equilibrato, non è pieno, ma è solo una diminuita capacità che cerca di soddisfare se stessa. L’amore è movente attraverso il quale dal nulla la creazione è stata portata all’esistenza, la causa attraverso la quale il Logos eterno si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e, infine, è il più grande comandamento che ci ha lasciati il Teantropo.
Il triplice comandamento dell’amore (amare Dio, gli altri, se stessi) richiede unità di cuore, di anima e di mente. Dio richiede un amore che possa essere espresso solo nell’integrità della persona. Una persona divisa al suo interno non è in grado di amare nel modo in cui richiede il Signore. Perciò la Chiesa, come corpo mistico di Cristo, ha sempre avuto come obiettivo principale la guarigione di questo amore, per il bene di ciascuno e della società in generale. Pertanto, l’obiettivo della Chiesa apostolica si sposta dalla sfera personale -dal microcosmos- ad una parte più ampia e olistica come la società stessa, l’umanità, e la creazione nella sua totalità.
Dopo che la capacità dell’uomo di amare è stata guarita tramite la normalizzazione del sistema noetico, l’intero cosmo diventa puro specchio che riflette la luce divina dell’amore trinitario.
L’amore è il denominatore comune nella storia della Divina Provvidenza, nel rapporto tra il Creatore increato e la creazione dal nulla. Quando l’amore è guarito, il nulla non rappresenta più un pericolo che minacci l’esistenza della creazione. Quando la creatura ama così come le è richiesto dal Creatore, essa raggiunge il suo essere in pienezza tramite un amore integratore, unificante, propulsivo, vivificante, quell’amore che Paolo ha descritto con tanta precisione e bellezza.
Il carattere macrocosmico e olistico di questa guarigione della vita spirituale, che è in principio individuale e personale, è quello che definisce la missione terapeutica della Chiesa. Dobbiamo liberarci di quella immagine di una Chiesa che amministra la salvezza o la dannazione dei suoi membri attraverso il perdono -o no- dei loro peccati. Sebbene il perdono dei peccati sia l’inizio della guarigione della personalità umana, in nessun modo possiamo identificare la preparazione alla vita eterna con tale teoria così semplicistica. La preparazione comprende non solo la remissione dei peccati, che amministra la Chiesa come corpo mistico del Cristo giudice, ma anche la completa normalizzazione di tutti i processi vitali e delle operazioni dello spirito umano in modo che la persona diventi in pienezza armonica un’immagine viva del suo Creatore.
Il processo sarà lungo e doloroso, ma nel nostro cuore deve rimanere la convinzione incrollabile che ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio.
Abbiamo realizzato un percorso teologico magari lungo e monotono per arrivare a questa fase della riflessione. Per prima cosa è stato specificato un presupposto concettuale basilare la cui importanza è fondamentale in questa sezione.
All’inizio della riflessione ci siamo soffermati su Dio, poi sulla sua creazione, sulla chiesa, sulla vita spirituale, e adesso siamo approdati a questa “unità” che conferisce forse un senso a tutto quanto è stato esposto fin’ora; di fatto, tutto è stato esaminato in funzione di questa sezione.
I concetti chiave in tutto lo sviluppo della riflessione sono stati principalmente due:
• Amore (?ρως/?γ?πη)
• Unità (?νωσις, κοιν? ?νωσις, κοινων?α, unio, communio)
Questi due concetti hanno percorso trasversalmente tutte le tematiche che ci sono servite come sostegno teologico per arrivare a questo punto della nostra meditazione.
Il peso della riflessione, in questa sezione, ricade nuovamente sull’origine di essa: Dio. Dio: amore e unità. Possiamo pensare a una vita spirituale e ad una unità dei cristiani senza Dio? Ovviamente no. La domanda sembra senza senso. Tuttavia, mi permetto di chiedere ancora una volta: perché siamo divisi? Se Dio è amore e unità, allora perché i cristiani sono divisi? Se la chiesa è quella che abbiamo descritto -almeno nel suo aspetto più profondo e inclusivo- allora perché i discepoli di Cristo sono separati? E mi permetto di domandare: forse manca Dio?
Ovviamente Dio non manca nella creazione, e nemmeno nella chiesa. Dio, però, manca negli esseri razionali -e liberi- che in virtù di quella libertá rifiutano oppure ignorano Dio. Manca, di conseguenza, la vita in Dio, la vita spirituale che abbiamo descritto.
Demitizzazione
La frammentazione del cristianesimo si realizza in quanto la concezione, la percezione e l’esperienza che abbiamo di esso lo riduce ad una religione o ad una filosofia, ad una ONG, ad una corporazione, o a qualsiasi altra categorizzazione che provenga dalla nostra limitazione , in quanto l’uomo terrestre concepisce ed esegue tutto in relazione al suo limite, a se stesso immerso nella sua miseria.
Il cristianesimo, però, è la rivelazione di Dio: in esso il mondo, la chiesa, gli uomini e tutti gli esseri costituiscono un tutto organico e armonico che si relaziona multiformemente nell’identità e nella diversità. Sembra un’utopia. Ma non è così: è una realtà! Non la capiamo, o non vogliamo capirla.
Se si considera il cristianesimo una religione, è possibile la frammentazione; mentre se lo percepiamo -e soppratutto lo viviamo- come la rivelazione divina, come l’estasi erotica e salvifica di Dio, questa esperienza impedisce qualsiasi frammentazione dell’ essere umano che la riceve, perché, a differenza della pratica religiosa, il fattore divino si assimila all’umano cosicchè l`uomo si assimili al divino: il protagonista è Dio! Dio nell’uomo, l’uomo in Dio. Due termini inseparabili.
Ho detto bene: assimilare e vivere il cristianesimo in quanto tale. Non basta una definizione accademica. Il cristianesimo è molto di più: è la vita, l’amore, l’unità, la perfezione e trascendenza offerti a tutti da Dio. Questa vita che si basa sulla convinzione della fede come relazione con Dio non ammette divisioni, non ammette disgregazioni, non ammette il prefisso “anti” -?ντ?- o “contra”, ma piuttosto “in”, “verso”, “con”. In questa vita realizzata dal cristianesimo, la relazionalità è sempre positiva: infatti, come nella Trinità, vi è unità e molteplicità! E la molteplicità che si fa evidente nel “a/ad”, nel “verso”, nel “in”, non è nient’altro che positività, ricchezza, crescita, abbondanza.
Questo punto di vista, tuttavia, potrebbe essere giudicato come escludente: sembrerebbe che solo il cristianesimo sia la salvezza. Eppure, è la nostra fede, la nostra certezza; ma anche -e paradossalmente- in essa percepiamo e viviamo l’amore di Dio per tutti: in che modo, allora, il Dio Eros/Agape potrebbe escludere qualcuno dalla sua salvezza? La risposta è ovvia. Di conseguenza, l’apocalisse di Dio è dinamica e aperta a tutti; multiforme e multidimensionale si estende a tutto il creato; in conclusione, Dio fa ciò che vuole, come vuole, quando vuole e con chi Egli vuole.
Auto-referenzialità
Da questo punto di vista, l’unico punto di riferimento è Dio. Ecco di nuovo il paradosso: Dio nell’uomo, l’uomo in Dio. L’auto-referenzialità, quindi, appartiene solo a Dio, non alla creazione, nè alla chiesa, e nemmeno agli uomini. E torno all’inizio: Dio!
La vita spirituale è la vita in Dio, con Dio, per Dio, da Dio; e analogamente negli altri, con gli altri, per gli altri, dagli altri. L’auto-referenzialità esclusiva della creatura cessa, quindi, come è specificato in precedenza, quando il processo spirituale attraverso l’amore e la preghiera normalizza e ricostituisce la relazionalità dell’uomo. E se l’uomo ricostruisce quella multiforme relazionalità originale, allora iniziano a normalizzarsi anche le funzioni delle strutture che compongono la società: e la Chiesa ha anche la sua struttura e la sua istituzione. Questa relazionalità ricostituita posiziona correttamente l’uomo non più “davanti” a Dio -come la religione- ma “in” (con, per,da) Dio; l’uomo in se stesso e negli altri e, senza dubbio nel mondo. In questo modo, l’auto-referenzialità nel creato è sempre relativa. Torniamo a Dio. In questo modo, nessuno può pretendere di essere punto di riferimento nel cristianesimo. Egli è la Via, la Verità e la Vita; nessun uomo, nè la Chiesa: Cristo solo!
Pregiudizio
Mentre l’uomo comincia a purificarsi e a guarirsi dalla “malattia della religione” ricostruendo la sua relazionalità con la preghiera e con l’amore, i pregiudizi su se stesso e sugli altri spariscono. A livello spirituale, i pregiudizi – negativi o positivi – sono il risultato del sistema noetico disgregato.
I pregiudizi causano divisione, causano tensione e, alla fine, distruggono. Una società unita nella diversità, come la chiesa, non ammette pregiudizi dell’uno verso l’altro, e mi chiedo: come si possa parlare di unità dei cristiani, se ancora non possiamo abbattere i pregiudizi dell’uno contro l’altro?
Priorità
Ecco perché questo cammino verso l’unità visibile dei cristiani presuppone il cammino verso Dio. Forse sembra inutile la frase precedente, ma spesso la lista di priorità degli uomini viene invertita: cerchiamo l’unità dei cristiani ma non cerchiamo Dio in primo luogo; cerchiamo giustizia, inclusione, eliminare la povertà, la violenza, e tutto questo va bene ed è lecito, ma perché non riusciamo? Perché ci dimentichiamo Dio.
La priorità è chiara: primo Dio! E ultimo Dio!: Cristo, Cristo, Cristo! E nel frattempo, tutto il resto. Infatti, se cerchiamo Dio e siamo in Lui, allora siamo nel prossimo, perché Dio non esiste senza l’altro! Senza l’ “alter ego” non c’è perfezione, non c’è comunione, non c’è chiesa; ma l’altro, anche, è Cristo; tutti insieme siamo Cristo.
La priorità nella vita spirituale delle persone inizia essendo se stesso, ma quando il processo di assimilazione e di identificazione si sviluppa, l’identità si volge a Dio; a Dio e all’altro; a Dio che è in tutti e in tutto! Tutto il resto verrà sempre e ciò sarà conseguito quando la nostra volontà verrà assimilata a quella di Dio. La mia volontà è quella di Dio, e quella di Dio diventa mia.
Spiritualità Ecumenica
L’unità dei cristiani essenzialmente esiste, poiché la Chiesa è una; poiché Dio è uno: unità nella molteplicità; come nella Trinità. L’unione visibile, tuttavia, è un processo che, secondo il mio punto di vista, fa parte della maturazione spirituale dei cristiani tutti, così come delle istituzioni di cui essi fanno parte.
L’unità visibile dei cristiani deve essere qualcosa di legittimo, non soltanto un’utopia, un’idea, un motto, un pio sentimentalismo, una politica religiosa o, nel peggiore dei casi, un business. E perchè ciò sia come dovrebbe essere, deve procedere da un processo spirituale legittimo, maturo e serio. Altrimenti sarà una strada dissestata, un vicolo cieco. Detto con altre parole: non si ottiene unità dei cristiani senza vita spirituale!
Sin dall’ultima Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese si parla della spiritualità all’interno del movimento ecumenico. È un progresso, credo, in virtù delle iniziative delle diverse chiese ortodosse che durante un lungo tempo hanno sottolineato questo argomento.
Una spiritualità ecumenica? Penso che il termine sia ridondante. L’Imitatio Christi interpretata come processo di purificazione, illuminazione e glorificazione implica questa apertura. Non è necessario segmentare la vita nello Spirito; non è necessario limitarla ulteriormente. L’apertura è il risultato della relazionalità umana guarita, della ricettività spirituale ricostituita, dell’uomo riconfigurato a Cristo.
Libertà
Se vogliamo accedere all’unità visibile dei cristiani abbiamo bisogno di libertà e liberalità che derivano dalla cristificazione. Solo Dio è libero e liberale per eccellenza e ci trasmette quella realtà secondo la nostra ricezione dei progressi divini. E’ necessaria, quindi, la purificazione: la liberazione di se stessi o, meglio, dell’immagine che uno –e anche gli altri- hanno di se stessi; la facoltà noetica, prigioniera nel cervello, che cattura gli impulsi dell’ambiente facendoli propri del cuore. E’ necessario correggere questo sistema: ritornare a se stessi, trovare Dio dentro di noi, e di conseguenza negli altri: questo porta la libertà! Dio mi libera, l’altro mi libera.Se sono libero, quindi, non ho paura, e posso andare “verso” l’altro, vivere “con” l’altro, essere “nel-” l’altro. Unione -communio- nella diversità: l’unità visibile dei cristiani.
IOSIF BOSCH, vescovo di Patara
(delegato del Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli,
vescovo ausiliare di Buenos Aires della metropolia del Patriarcato ecumenico)