Sei aspetti della lotta spirituale
L'Osservatore romano, 16 settembre 2009
Concluso il convegno al monastero di Bose
Apprezzamento per il lavoro del movimento ecumenico e della Chiesa cattolica è stato espresso dall'arcivescovo ortodosso russo Zosima di Elista e Kalmykija nel corso del convegno ecumenico internazionale svoltosi a Bose, dal 9 al 12 settembre, dedicato al tema della lotta spirituale nella tradizione ortodossa.
"A suo tempo il movimento ecumenico aiutò la Chiesa russa a sopravvivere, e noi siamo molto riconoscenti al nostro metropolita Nikodim e alla Chiesa cattolica che fecero molto per salvare la nostra Chiesa", ha detto Zosima. Il presule, dopo aver ricordato le incomprensioni con la Chiesa cattolica verificatesi a partire dai primi anni Novanta, ha poi anche riconosciuto i sostanziali passi avanti dell'ultimo periodo. "In questi ultimi anni - ha detto - anche grazie al lavoro di monsignor Mennini, abbiamo incominciato a guardarci negli occhi l'un l'altro con i cattolici, lavoriamo per risolvere i nostri problemi". In questo modo - ha concluso - "le grandi tradizioni della Chiesa cattolica e di quella ortodossa si arricchiscono a vicenda". Da parte sua, il nunzio Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede presso la Federazione Russa, ha ricordato - citando il teologo ortodosso Olivier Clément - come il tema del combattimento spirituale sia solo apparentemente lontano dalla mentalità e dalle priorità dell'uomo contemporaneo, sia occidentale che orientale. È, invece, "un appello alla libertà dell'uomo", alla "capacità della persona", un'opportunità "per uscire dalla condizione di sonnambulismo quotidiano in cui ci troviamo a vivere".
Sul tema del convegno pubblichiamo ampi stralci dell'intervento del metropolita di Diokleia, del Patriarcato ecumenico, e una parte del saluto del vice decano del Collegio cardinalizio.
SEI ASPETTI DELLA VITA SPIRITUALE
Vorrei selezionare sei aspetti della lotta spirituale nel mondo contemporaneo. (...) Tre degli aspetti che ho scelto hanno a prima vista un carattere cupo, tre invece riflettono uno spirito più luminoso; ma tutti e sei non sono in fin dei conti negativi ma piuttosto eminentemente positivi.
L'inferno può essere considerato come l'assenza di Dio, come il luogo in cui Dio non c'è (è tuttavia vero che l'inferno, considerato in maniera più precisa, non è vuoto di Dio, dal momento che - come Isacco il Siro insiste - l'amore di Dio è dovunque). Non è sorprendente che i cristiani nel ventesimo secolo, dimorando in un mondo segnato dal senso dell'assenza di Dio, abbiano interpretato la loro vocazione come un descensus ad inferos. Paul Evdokimov sviluppa questa idea in relazione con il sacramento del battesimo, che costituisce peraltro il fondamento della lotta spirituale del cristiano. "Parlando della cerimonia dell'immersione al momento del battesimo", osserva Evdokimov, "san Giovanni Crisostomo annota: "L'azione di scendere nell'acqua e poi risalirne di nuovo simbolizza la discesa di Cristo agli inferi e il suo ritorno da quel luogo". Ricevere il battesimo, quindi, significa non soltanto morire e risorgere con Cristo; significa anche che noi scendiamo all'inferno, che portiamo le stigmate di Cristo sacerdote, la sua premura sacerdotale, la sua ansia apostolica per le sorti di coloro che hanno scelto l'inferno". Il pensiero di Evdokimov ha molto in comune con le idee di Hans Urs von Balthasar, ma non bisogna dimenticare che, come l'arcivescovo Hilarion Alfeev ha dimostrato in un suo libro recente, la discesa di Cristo agli inferi è soprattutto un'azione di vittoria.
Un santo ortodosso del ventesimo secolo che ha particolarmente enfatizzato la discesa agli inferi è Silvano dell'Athos: "Mantieni il tuo spirito agli inferi e non disperare", insegna, aggiungendo che questa è la via per acquisire l'umiltà. Il suo discepolo padre Sofronio insiste che "egli si riferiva a una reale esperienza dell'inferno". Nelle sue meditazioni, Silvano ricorda il calzolaio di Alessandria, visitato da Antonio, che era solito dire: "Tutti saranno salvati; soltanto io perirò". Silvano applica queste parole a sé: "Presto io morirò e prenderò dimora nell'oscura prigione dell'inferno, e soltanto io brucerò in quel luogo".
Tuttavia sarebbe errato interpretare la posizione di Silvano in termini puramente negativi e tetri; bisogna attribuire il giusto peso a entrambi le parti della sua affermazioni: non dice soltanto "mantieni il tuo spirito agli inferi", ma aggiunge subito dopo "e non disperare". Altrove egli afferma che la certezza della propria dannazione è una tentazione del demonio. Ci sono, dice, due pensieri che provengono dal nemico: "Tu sei un santo" e "non ti salverai". San Silvano era profondamente influenzato dagli insegnamenti di Isacco il Siro sul carattere irriducibile dell'amore divino: "Se l'amore non è presente", egli dice, "allora tutto si fa difficile"; al contrario, quando l'amore è presente, tutto è possibile. (...)
La forma particolare che la discesa agli inferi ha assunto durante il ventesimo secolo nella lotta spirituale dei cristiani ortodossi è stata l'esperienza della persecuzione e del martirio. Il secolo scorso è davvero stato per l'oriente cristiano un secolo di martirio per eccellenza. Si ricordi inoltre che, sebbene il comunismo è caduto in Russia e nell'Europa orientale, vi sono ancora molti luoghi nel mondo in cui i cristiani - sia ortodossi che non ortodossi - continuano a soffrire persecuzioni. Secondo le parole di un prete russo della diaspora, padre Alexander Elchaninov, che morì nel 1934, "il mondo è deforme e Dio lo raddrizza. Questo è il motivo per cui Cristo ha sofferto - e soffre - così come hanno sofferto i martiri, i confessori della fede e i santi; e anche noi, che amiamo Cristo, non possiamo che soffrire altrettanto". Come indica Silvano, il martirio può essere interiore o esteriore: "Pregare per la gente", dice, "significa versare il sangue". Allo stesso tempo, come nel suo apoftegma "mantieni il tuo spirito agli inferi e non disperare", egli insiste sul reciproco concorrere di tenebra e luce, di disperazione e speranza. Così la sofferenza dei martiri è anche una fonte di gioia: come afferma Silvano, "la sofferenza estrema è alleata con la beatitudine estrema".
Un martire la cui lotta spirituale ha particolarmente catturato l'immaginazione ortodossa negli ultimi sessant'anni è Maria Skobtsova, morta in una camera a gas di Ravensbrück il 13 marzo 1945, offrendosi probabilmente al posto di un altro prigioniero. Se così avvenne, ciò indica come il martire - allo stesso modo di Cristo stesso, il protomartire - svolge un ruolo vicario, morendo al posto di altri, morendo perché altri possano vivere. Il martire adempie, in modo definitivo e finale, il comando di san Paolo: "portate i pesi gli uni degli altri" (Lettera ai Galati, 6, 2); questo era anche un tema che madre Maria ha sottolineato nei suoi scritti. (...)
Strettamente legato ai due elementi di cui abbiamo appena parlato - la discesa gli inferi e il martirio - ve n'è un terzo, la kenosis o autosvuotamento. Colui che s'impegna nella lotta spirituale s'identifica con il Cristo umiliato. Prima d'essere imprigionata, Maria Skobtsova dimostrò il suo spirito kenotico in maniera impressionante, mostrando grande solidarietà con gli indigenti, gli emarginati, e tutti i reietti dalla società, e anche - quando scoppiò la seconda guerra mondiale - con gli ebrei. "I corpi dei nostri fratelli in umanità", scriveva, "devono essere trattati con maggior cura rispetto ai nostri. L'amore cristiano c'insegna non soltanto a fare doni spirituali ai nostri fratelli, ma anche doni materiali. Perfino la nostra ultima camicia, il nostro ultimo pezzo di pane deve essere donato loro. L'elemosina individuale e ogni tipo possibile di opera sociale sono allo stesso modo legittimi e necessari".
Un santo della tradizione ellenica che ha mostrato questo spirito kenotico in un modo considerevole è Nectario di Pentapoli, morto nel 1920. Le storie circa la sua umiltà abbondano. Giovane vescovo di Alessandria, qualora veniva attaccato, rifiutava ogni misura di ritorsione e di difesa contro i calunniatori. Quando più tardi era direttore della scuola teologica Rizareion di Alessandria, avvenne che l'addetto alle pulizie si ammalò; per impedire che il posto andasse a qualche altro Nectario per molti giorni s'alzò prestissimo al mattino per spazzare i corridoi e pulire le latrine, finché l'uomo non fu di nuovo in grado di tornare al suo lavoro. (...) In questo e in diversi altri modi Nectario obbedì alle parole di san Paolo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli ... svuotò se stesso" (Lettera ai Filippesi, 2, 5-7).
(...) Bilanciamo ora questi tre elementi cupi della lotta spirituale con tre elementi più gioiosi che sono di particolare importanza nel mondo contemporaneo.
(...) Il mistero della trasfigurazione ha un valore particolare per noi nel tempo presente. La nostra lotta spirituale deve certamente coinvolgere elementi quali la rinuncia, lo sforzo ascetico, il sudore, il sangue e le lacrime, il martirio interiore e forse anche esteriore; ma il reale valore di tutto ciò viene perduto se esso non viene illuminato dalla luce increata del Tabor. A questo proposito, non è certo una coincidenza che il santo più influente nella vita e nell'esperienza dell'ortodossia del ventesimo secolo sia stato Serafino di Sarov, che è proprio un santo della trasfigurazione. Quando visitai la Grecia per la prima volta, cinquantacinque anni fa, san Serafino era praticamente sconosciuto; mentre ora, ogni volta che vado sul suolo ellenico, vedo la sua icona nelle chiese e nelle case, e nei monasteri frequentemente incontro monaci e monache che si chiamano Serafino o Serafina in onore del santo di Sarov. (...)
Nello stesso tempo non facciamo del sentimentalismo nei riguardi del santo di Sarov né semplifichiamo troppo la sua lotta spirituale. Facciamo bene a ricordare che egli si vestiva in bianco e non in nero, come la tradizione monastica voleva; che chiamava i suoi visitatori "mia gioia" e li salutava durante tutto l'anno con il saluto pasquale "Cristo è risorto"; che il suo volto risplendeva di gloria in presenza del suo discepolo Nicola Motovilov. Ma non dimentichiamo gli assalti demoniaci che Serafino ha dovuto sostenere mentre pregava sulla roccia accanto al suo eremo e sentiva le fiamme dell'inferno crepitare intorno a lui; non dimentichiamo il dolore fisico che soffriva dopo essere stato azzoppato dall'assalto di tre ladri nel bosco; non dimentichiamo le incomprensioni che dovette sopportare da parte del suo stesso abate e le calunnie che lo perseguitarono fino alla morte. Davvero egli comprese ciò che san Paolo intendeva quando diceva: "afflitti, ma sempre lieti". Nella lotta spirituale la trasfigurazione e il portare la croce sono due elementi inseparabili.
Il battesimo costituisce il fondamento della lotta spirituale del cristiano. Tuttavia non può essere separato dalla santa comunione, e di conseguenza anche l'eucaristia gioca un ruolo basilare nel nostro combattimento spirituale. È vero che nel primo periodo patristico molti autori ascetici quali Giovanni Climaco e Isacco il Siro facevano poco o nessun riferimento all'eucaristia, ma nella nostra lotta spirituale oggi la dimensione eucaristica deve essere esplicitata e posta in primo piano. È significativo che questo è esattamente quello che è stato fatto da una grande figura di prete all'inizio del ventesimo secolo, Giovanni di Kronstadt. "L'eucaristia è un miracolo continuo", era solito dire; ed egli entrò appieno in questo "miracolo continuo" celebrando quotidianamente la divina liturgia. L'intensità della sua celebrazione eucaristica sbalordiva i suoi contemporanei: san Silvano, per esempio, parla della "forza della sua preghiera" e aggiunge: "In tutto il suo essere [era] una fiamma d'amore". Giovanni insisteva che tutti i presenti alla liturgia dovevano ricevere la comunione. Per sua influenza e per l'influenza di altri, la prassi di ricevere la comunione è di fatto divenuta più frequente nella Chiesa ortodossa del ventesimo secolo; eppure vi sono ancora molti luoghi in cui i fedeli si accostano al sacramento soltanto tre o quattro volte l'anno: ciò è certamente deplorevole. Nel mondo contemporaneo la nostra lotta spirituale deve essere, nel modo più pieno possibile, una lotta eucaristica.
Al centro della divina liturgia, immediatamente prima dell'epiclesi dello Spirito santo, il diacono eleva le sante offerte mentre il prete recita: "Offriamo ciò che è tuo prendendolo da ciò che è tuo, in ogni cosa e per ogni cosa". Questo ci porta a considerare un aspetto della liturgia che ha una rilevanza particolare per la nostra lotta spirituale nel mondo contemporaneo: la dimensione cosmica dell'eucaristia. È significativo che nell'eucaristia offriamo i doni non soltanto "per tutti gli esseri umani" (dia pantas), ma anche "per tutte le cose" (dia panta). L'oblazione eucaristica abbraccia in tutta quanta la sua ampiezza non soltanto l'umanità ma l'intero regno della natura, abbraccia ogni cosa; ne consegue che l'eucaristia c'investe di una responsabilità ecologica; ci impegna a proteggere e ad amare non soltanto i nostri fratelli in umanità ma tutte le cose viventi, e non soltanto queste, ma anche a proteggere e ad amare l'erba, gli alberi, le rocce, l'acqua e l'aria. Celebrando l'eucaristia con piena consapevolezza noi guardiamo il mondo intero come un sacramento.
La nostra lotta spirituale, pertanto, non è meramente antropocentrica: noi siamo salvati non dal mondo ma con il mondo, e pertanto lottiamo per santificare e per ridonare a Dio non soltanto noi stessi ma l'intera creazione. Questa portata ecologica della nostra lotta spirituale è stata particolarmente enfatizzata dal Patriarcato ecumenico negli ultimi due decenni. Il Patriarca Dimitrios e il suo successore, l'attuale Patriarca Bartolomeo, hanno stabilito l'1 settembre, giorno di apertura dell'anno ecclesiastico, come "giorno per la salvaguardia dell'ambiente", da osservarsi - così ci si auspica - non soltanto da parte degli ortodossi ma anche da parte degli altri cristiani. (...)
Per quanto importante siano gli aspetti eucaristici e liturgici della lotta spirituale, nello stesso tempo è necessario dare enfasi anche alla lotta per la preghiera interiore. Nella lotta spirituale del ventesimo secolo, la preghiera interiore ha significato, per gli ortodossi, preminentemente ma non esclusivamente la preghiera di Gesù. L'importanza dell'invocazione del nome santo è giunta a essere molto apprezzata negli ultimi cento anni grazie soprattutto all'influenza di due libri: Il racconto di un pellegrino e la Filocalia; entrambi i volumi hanno riscosso un successo inatteso in occidente. Probabilmente la preghiera di Gesù viene oggi praticata quotidianamente da molta più gente che in passato: il nostro tempo non è soltanto un tempo di secolarizzazione!
Ecco dunque alcuni elementi della lotta spirituale nel mondo contemporaneo: da una parte la discesa agli inferi, il martirio e la kenosis; dall'altra la trasfigurazione, l'eucaristia e la preghiera del cuore. Le due triadi non devono essere contrapposte bensì combinate insieme, come ha fatto Giovanni Climaco coniando il termine charmolype, "gioiosa afflizione", e parlando di charopoion penthos, "dolore che crea la gioia". Questi due aspetti complementari della lotta spirituale sono ben riassunti in due brevi affermazioni di Serafino di Sarov che cerco di tenere sempre in mente: "Dove non c'è dolore non c'è salvezza" e "Lo Spirito Santo riempie di gioia tutto ciò che tocca".
(©L'Osservatore Romano - 16 settembre 2009)