Scrittura e vita spirituale

XIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
XIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa

Scrittura e vita spirituale

Testimoni n°16/2011
di MARIO CHIARO

Il XIX Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa tenutosi a Bose (7-10 settembre 2011), col tema La parola di Dio nella vita spirituale, ha messo subito in evidenza i temi sul tappeto, davanti a circa 250 attenti partecipanti da tutte le parti del mondo, con la relazione del metropolita di Messenia (Grecia), Chrysostomos. La Chiesa, ha precisato l’oratore, prima di tutto è celebrazione e solo in un secondo tempo insegnamento e ordinamento ecclesiastico. Esiste un rapporto dialettico tra Sacra Scrittura e culto divino, che è da un lato esistenziale-esperienziale (per la pregustazione del regno di Dio), e in secondo luogo eucaristico, quale evento ecclesiale. Questo conduce non solo a una comprensione intellettuale della Scrittura stessa, ma anche alla sua interpretazione secondo la fede e la vita della Chiesa. Tale concezione dialettica (esperienziale ed escatologica) della Scrittura nell’ambito dell’assemblea eucaristica viene applicata dai padri della Chiesa anche nel contesto del simbolismo figurativo dell’adorazione divina.

Le vivaci reazioni dell’assemblea hanno subito posto in evidenza i punti critici di questa lettura: in particolare la correlazione tra la Sacra Scrittura, la Liturgia, la Tradizione dei Padri e i segni dei tempi. A detta di molti è qui il nodo per un rinnovamento pastorale e spirituale del mondo ortodosso oggi. In particolare su questo hanno dibattuto i fautori del tradizionale rapporto “devozionale” col testo biblico e coloro che auspicano una maggiore attenzione alle influenze del metodo storico-critico. Si è avvertita l’esigenza di non perdere, per esempio, la ricchezza di una lettura filologica ma anche contemplativa derivante da Giovani Crisostomo. Anche il messaggio del patriarca di Mosca, Cirillo, sottolinea del resto come la conoscenza della Parola non è racchiusa solo nel suo studio attento e continuo: «I santi padri erano profondamente convinti che la lettura della Sacra Scrittura dovesse rinvigorire l’osservanza dei comandamenti del Signore e la sequela di Cristo», trasfigurando le loro esistenze verso la santità.

Il mondo ortodosso a un crocevia

Su tutto ciò si sono innestate le tre direttrici del Convegno: le ermeneutiche della Bibbia elaborate dai padri della Chiesa, con l’esame di problematiche ancora molto attuali (significato dei diversi generi letterari; rapporto tra esegesi, prassi ed esperienza spirituale; senso ecclesiale della Scrittura; relazione viva tra fede e Parola); la dimensione ecclesiale della parola di Dio; la realtà della presenza della Scrittura nelle diverse chiese, in particolare nell’esperienza dei monaci cristiani.

L’attualità della discussione è stata confermata dai vari autorevoli messaggi giunti durante i lavori. La Cei segretario generale (tramite il suo segretario mons. Crociata) ha ricordato che «la lettura della Scrittura (che la parola di Dio contiene) nella tradizione orientale è sempre lettura nello Spirito» e che «l’oriente cristiano, in maniera particolare, vive questo legame profondissimo tra la Scrittura e lo Spirito Santo, che ne è anche il primo principio ermeneutico»; dopo il Vaticano II «è stato possibile evidenziare la significativa convergenza, pur nella diversità delle tradizioni, su questa realtà pneumatica della Scrittura».
Anche il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, osservando lo smarrimento dinanzi alle sfide che la cultura contemporanea pone ai cristiani, ribadisce che l’incontro con la parola di Dio vivente può avere grande importanza poiché «l’impegno per il ristabilimento della piena unità dei cristiani non si configura soltanto come mero confronto dottrinale, ma come il ricomporsi dei credenti nella fede di fronte alla Parola stessa di Dio, viva ed efficace». In fondo si chiede un rinnovamento che, senza eliminare adorazione-contemplazione, dia voce a coloro che chiedono una lettura meno allegorica e fantasiosa e una maggiore attenzione alle domande che la storia pone alla Parola (incarnazione).

È la posizione dell’accademia di studio greca “Volos”, guidata dal teologico laico dr. Kalaitzidis, il quale ci comunica in un’intervista che il mondo ortodosso si trova a un crocevia multiculturale, dopo una storia segnata da stili autoritari e da fermenti nostalgici: «l’ortodossia è ancora troppo legata al passato e noi vogliamo costruire uno spazio dove prevalga una visione più escatologica… ogni aspetto della modernità va confrontato con il Cristo che viene e vive oggi nel mondo. Anche i grandi padri della tradizione in fondo hanno lavorato per far incontrare Gesù con la cultura del loro tempo. Oggi l’ortodossia è fortunatamente attraversata da una certa pluralità, anche se il fondamentalismo sembra prendere una certa forza contando sulla paura di essere troppo inglobati, anche nell’approccio biblico, in una mentalità occidentale di tipo protestante o cattolico. Proprio sulla sorgente della parola di Dio si giocano questi contrasti: c’è paura che la Parola sia troppo sovversiva e che vada controllato bene come dare il testo nelle mani della gente. Uno stereotipo da vincere è che la lettura protestante o cattolica sia troppo individualista o razionalista, mentre quella ortodossa garantisce una maggiore ecclesialità! Invece oggi la gente chiede traduzioni più comprensibili, meno fondamentalismo e una maggiore comunione tra laici e monaci-clero».

La spiritualità non è un forma di nirvana

Si è avuto modo dunque di constatare che vari sono gli orientamenti circa il modo di accostarsi al testo biblico. Del resto la pluralità degli approcci è alla base delle più antiche differenziazioni teologiche all’interno della Chiesa (cf. le scuole di Alessandria e Antiochia). Ma ciò non pregiudica assolutamente la convinzione, più volte ribadita, che la Scrittura resta comunque la fonte prima della vita spirituale di ogni cristiano. Come ha ribadito Sabino Chialà di Bose, «ogni volta che le Chiese hanno avuto paura della Scrittura, e hanno voluto sottrarsi al rischio dell’interpretazione, hanno poi dovuto constatare di aver pagato a caro prezzo una tale rinuncia. Ecco dunque una acquisizione chiave di questi nostri giorni: la Scrittura permea tutta la vita della Chiesa».

Abbiamo avuto modo di constatarlo confrontandoci con la liturgia, osservando come la Scrittura è l’anima della celebrazione eucaristica e dell’anno liturgico. Tutto nella celebrazione raffigura l’evento di cui la Scrittura è narrazione. Di qui la convinzione che la Parola proclamata venga compresa dal popolo di Dio, mediante un’adeguata esplicazione, a conferma che la liturgia è luogo privilegiato in cui la fede è non solo celebrata ma anche trasmessa e approfondita.

Questa centralità della Scrittura nella vita spirituale ci è stata ripercorsa sulla scia di alcuni padri: Giovanni Crisostomo, Efrem il Siro, i padri del deserto, Gregorio Magno e Teofane il Recluso (dunque il mondo greco, siriaco, egiziano, latino e russo). Ciascuno di questi autori ci ha ricordato l’imprescindibilità della meditazione delle Scritture. Il metropolita di Bursa, Elpidophoros, del Patriarcato di Costantinopoli, all’inizio della sua relazione ha chiaramente confermato che la spiritualità ortodossa «non consiste soltanto in belle idee, sublimi pensieri e gradevoli riflessioni; è piuttosto un ethos ecclesiale equilibrato e autentico, uno stile di vita puro, un comportamento retto, un atteggiamento e una condotta di vita precisi».

Questo ci è stato confermato da Giovanni Crisostomo, convinto di un rapporto personale e quotidiano di ogni credente con la Scrittura. Così egli scrive: Qualcuno dirà: “Io non sono né religioso, né anacoreta: ho moglie e figli e mi prendo cura della famiglia”. Ecco la grande piaga dei nostri tempi: credere che la lettura del Vangelo sia riservata solo ai religiosi o ai monaci, mentre siete voi, più di loro, ad averne maggiormente bisogno. Quelli che sono al cuore della mischia e ogni giorno ricevono nuove ferite hanno più di tutti necessità di essere curati. È un grande male non leggere i libri che recano la parola di Dio, ma ve n’è uno peggiore: credere che questa lettura sia inutile (“Commento a Matteo” 2,5).

E, su questa linea, Efrem il Siro afferma che se, nell’incarnazione il Logos si è vestito di carne umana, nella Scrittura egli si è rivestito di parole umane. Di qui dunque lo statuto dell’esegeta che non chiude il testo, ma lo apre facendo intuire i molteplici sensi che esso nasconde. La testimonianza di papa Gregorio Magno ha richiamato infine come la lectio divina fosse la sua esperienza quotidiana dello Spirito Santo. Il Verbo di Dio si sviluppa nella Chiesa, dove ciascuno è raggiunto da una parola indirizzatagli in un modo speciale, come una lettera che Dio stesso gli invia, col fine di rivelargli il suo cuore. E ciò è particolarmente necessario per chi ha un ruolo di guida ecclesiale: la sua autorità gli viene solo da un’assidua frequentazione delle Scritture.

Incarnazione tra fede e storia

Alla luce di quanto detto, ci sembra anche che si sia stemperata l’opposizione tra “lettura patristica della Scrittura” e “metodo storico critico”. Il Libro dei cristiani non è “caduto dal cielo” (non possiamo definirci “religione del libro”): lo Spirito santo ha illuminato, ha ispirato degli uomini che hanno scritto essendo proprio uomini. Come il Figlio, nella sua incarnazione, è entrato in una storiaconcreta e definita, così anche la Scrittura nasce in un contesto storico di cui porta i segni. Questo per evitare qualsiasi tipo di interpretazione letteralistica e fondamentalistica della Scrittura, che non appartiene alla grande tradizione cristiana.

Gli stessi Padri furono contemporanei delle culture del loro tempo e seppero parlare ai loro contemporanei, utilizzando un linguaggio che non ne umiliasse l’intelligenza. Ma anche perché seppero utilizzare una pluralità di approcci esegetici (per es. ad Alessandria prevalse l’allegoria e ad Antiochia la lettera). Un padre siriaco del VII secolo (che attesta una contrapposizione tra “esegesi di scuola” ed “esegesi spirituale”, tra Atene e Gerusalemme) conferma infatti che tale contrapposizione non fa loro giustizia. Egli distingue infatti tre approcci ermeneutici che devono fecondarsi reciprocamente: a) l’esegesi “storica” praticata nelle scuole; b) l’esegesi “omiletica” (alla maniera di Basilio e Giovanni Crisostomo) praticata nelle chiese di villaggi e città; c) un’esegesi “spirituale” praticata dai solitari (con le tre modalità: sinassi comunitaria del fine settimana, vita in cella e colloqui con gli anziani spirituali). Il contesto della lettura deve determinarne l’orientamento, che tuttavia deve sempre restare in dialogo con le altre letture ugualmente legittime.

Molte conferme di queste indicazioni sono venute dalla tavole rotonde dedicate al confronto con l’oggi delle chiese e dei monasteri. Qui abbiamo avuto modo di ascoltare ricchezze e povertà della presenza della Scrittura nei vari contesti d’oriente e d’occidente. Dalla Grecia alla Russia, dalla Serbia alla Bulgaria, dal Medio Oriente agli Stati Uniti, la Bibbia è percepita come nutrimento essenziale delle comunità cristiane e monastiche, nonostante le infedeltà nel custodirla come tesoro prezioso e come strumento missionario.
Ci sembra importante concludere, a proposito del rapporto prezioso tra Parola e testimonianza laica, con alcune parole del rappresentante ortodosso del Concilio mondiale delle Chiese, il libanese dr. Michel Nseir, che ci ha illustrato il suo impegno per il dialogo ecumenico in Medio Oriente. «Lo sforzo delle Chiese ortodosse (oltre che di altre denominazioni) è quello oggi di dire una parola comune pur nelle diversità… Ciò che oggi sta accadendo e che viene chiamato “primavera araba” consiste in una serie di segnali promettenti, ove si colgono elementi comuni ma anche molte differenze. Comune denominatore (a partire dalla matrice di tutto: il conflitto israelo-palestinese!) è il fatto che in molti di quei paesi c’è stata di fatto poca democrazia e tutti hanno approfittato in modo ipocrita della situazione per i propri interessi. Questo sta cambiando rapidamente: ovviamente in questo c’è spazio per ogni tipo di estremismo e non solo islamico, come invece si vuol far credere. Si tende così a creare un’atmosfera di paura attivando la sindrome del “nemico”. Noi cristiani dobbiamo invece opporci allo “scontro delle civiltà” per annunciare le differenze delle culture e delle religioni, con il loro potenziale di vivere insieme nel rispetto reciproco. Questo è il ruolo delle Chiesa: creare una contro-cultura, promuovendo le diversità e la comprensione reciproca. E portare questo stesso spirito anche in Europa dove assistiamo alla fuga-migrazione di tanti mediorientali».

MARIO CHIARO