L’uomo africano è lo straniero della nostra epoca. È lui l’uomo descritto da nostro Signore Gesù Cristo. La Chiesa di Alessandria porta sulle proprie spalle il peso della storia alessandrina, della megalopoli cosmopolita e l’universalità che ha sempre caratterizzato fin dai tempi antichi il suo pensiero, al di là e al di sopra delle nazioni e delle razze. Secondo la tradizione alessandrina ogni straniero ha diritto — notate la parola “diritto” — di ricevere alloggio, cibo e protezione, come persona sacra, come uguale a tutti, come un’immagine di Dio.
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Nella vecchia Russia e nei vocabolari precedenti alla rivoluzione, gli stranniki erano definiti in vari modi, come viaggiatori, vagabondi senza fissa dimora, poveri nomadi ambulanti, mendicanti, viandanti, forestieri, stranieri emarginati. Il termine “gentile” del nuovo Testamento, per esempio, era talvolta tradotto con strannik. Etimologicamente il termine strannik era legato anche al termine vetero-russo che significava “straniero”, “altro”, oppure “che sta ai margini”. Ancor più il verbo stranstvovat’ può riferirsi non soltanto all’atto di vagabondare. Come osservò il ben noto lessicologo del XIX secolo, Vladimir Dal’, nel suo Dizionario della lingua russa viva, il termine potrebbe anche significare “soffrire” oppure “star male”.
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Non sarebbe un’esagerazione dire che da ambedue le prospettive, teologica e pastorale, il XX secolo è stato l’era dell’ecclesiologia eucaristica o dell’ecclesiologia di comunione. Costruendo su sviluppi della teologia biblica e patristica cominciati già nel XIX secolo, i teologi del XX secolo hanno riscoperto la centralità dell’eucaristia nella vita della chiesa. Questo interesse per l’eucaristia non vi fu soltanto nella Chiesa ortodossa. Eminenti studiosi occidentali della Chiesa romano cattolica, tra i quali Jean Daniélou e Yves Congar, riscoprirono l’ecclesiologia eucaristica in modo assai simile attraverso la lettura dei padri della chiesa greci. Questi studiosi prepararono il terreno per le riforme liturgiche del Vaticano II con la loro accentuazione della centralità dell’eucaristia simile a quella dei teologi ortodossi.
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È con parole molto semplici che la nostra Regola di Taizé parla dell’ospitalità, sono parole che provengono direttamente dal Vangelo: «In un ospite, è il Cristo stesso che dobbiamo ricevere». In un altro capitolo della Regola, fratel Roger aggiunge: «Ama il tuo prossimo qualunque ne sia la visione religiosa o ideologica». Questo invito a un’ampia accoglienza, offerta a tutti senza distinzione, è in consonanza con la Regola di san Benedetto e tutta la tradizione monastica, orientale e occidentale. Pone la nostra ancora giovane comunità nella tradizione dei monasteri le cui porte sono sempre aperte.
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