Non c’è nulla di più arduo che amarsi
Roma, Villa Srhol-Fern, 29 aprile 1904
Mio caro Friederich,
senza tregua ho dovuto fare l’esperienza che non c’è davvero nulla di più arduo che amarsi. È un lavoro, un lavoro a giornata, Friederich, a giornata. Com’è vero Dio, non c’è altro termine. Come se non bastasse, accade che i giovani non sono assolutamente preparati a questa difficoltà dell’amore; di questa relazione estrema e complessa, le convenzioni hanno tentato di fare un rapporto facile e leggero, le hanno conferito l’apparenza di essere alla portata di tutti. Non è così. L’amore è una cosa difficile, più difficile di altre: negli altri conflitti, infatti, la natura stessa incita l’essere a raccogliersi, a concentrarsi con tutte le proprie forze, mentre l’esaltazione dell’amore incita ad abbandonarsi completamente. Ma i giovani che si amano, nell’impazienza, nella fretta della loro passione, si gettano per così dire l’uno verso l’altro; essi non misurano la mancanza di stima reciproca che un simile darsi disordinato suppone, oppure la misurano, con stupore e stizza, solo in base ai dissensi che questo disordine non tarda a produrre tra loro. Impegnati nell’irreparabile di una rottura, cercano ancora di mantenere l’apparenza della loro felicità (dato che in fondo, tutto, era in vista della felicità). Ahimè! a fatica possono ancora ricordarsi cosa intendessero per “felicità”. Ciascuno, nella sua incertezza, diventa sempre più ingiusto verso l’altro; loro che sognavano solo benevolenza reciproca finiscono per trattarsi in modo tirannico e intollerante, e nel loro bisogno di uscire ad ogni costo da questa confusione insostenibile, commettono la colpa più grave che può macchiare i rapporti umani: cedono all’impazienza. Si riducono a una conclusione, a una decisione che credono definitiva: spaventati dalle sue sorprendenti mutazioni, cercano di fissare una volta per tutte il rapporto, in modo che rimanga ormai in eterno (come dicono) lo stesso. questo è solo l’ultimo di una lunga catena di errori. Nemmeno chi è morto si lascia fissare definitivamente (dato che imputridisce e si modifica a suo modo); quanto minore può essere la speranza di determinare una volta per tutte chi vive! vivere è, per l’appunto, trasformarsi; le relazioni umane, elemento essenziale della vita, sono tra tutte, la realtà più mutevole, la più fluttuante; e gli amanti sono proprio degli esseri le cui relazioni e i cui contatti non conoscono due istanti identici.
Persone tra le quali nulla mai avviene di abituale, di già visto: solo il nuovo, l’inatteso, l’inaudito. Relazioni simili, che devono costituire una felicità immensa, quasi invivibile, esistono, ma possono instaurarsi solo tra due esseri estremamente ricchi, esseri già ordinati, concentrati: possono unire solo due mondi singolari e nel contempo vasti e profondi. Persone giovani non possono assicurarsi rapporti di tal genere; ma se comprendono bene la propria vita, possono innalzarsi lentamente verso quella felicità, e prepararvisi. Non devono dimenticare, se amano, che sono degli esordienti, dei dilettanti, degli apprendisti in amore; devono imparare l’amore e, come per ogni studio, ci vuole calma, pazienza e concentrazione. Prendere l’amore sul serio, soffrirlo, impararlo come un lavoro: ecco, Friderich, ciò che è necessario ai giovani. La gente ha frainteso, come molte altre cose, il posto dell’amore nella vita: ne ha fato un gioco e un divertimento, perché scorgono nel gioco e nel divertimento una felicità maggiore che nel lavoro; ma non esiste felicità più grande del lavoro, e l’amore, per il fatto stesso di essere l’estrema felicità, non può essere altro che lavoro. Chi ama deve cercare di comportarsi come se fosse di fronte a un grande compito: sovente restare solo, rientrare in se stesso, concentrarsi, tenersi in pugno saldamente; deve lavorare; deve diventare qualcosa. In realtà, Friederich, credimi: più si è, più è ricco tutto ciò che si vive. E chi vuole avere nella vita un amore profondo, deve risparmiare ed accumulare, immagazzinare miele a questo scopo. Non dobbiamo mai disperare quando perdiamo qualcosa: una persona, una gioia, una felicità; tutto ritorna più magnifico. Ciò che deve staccarsi si stacca; ciò che ci appartiene resta in noi, perché tutto obbedisce a leggi che vanno al di là delle nostre vedute e con le quali solo apparentemente siamo in contraddizione. Bisogna vivere in se stessi, e pensare la totalità della vita, le miriadi di possibilità, di spazi futuri, di fronte alle quali non v’è nulla di passato, nulla di perduto. Abbi coraggio: tutto è ancora davanti, e il tempo segnato dalle difficoltà non è mai perduto. ti saluto, caro Friederich, con grande affetto.
R. M. Rilke, Lettera a Friedrich