Vedere il mondo nella sua interezza

 

 

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La cosa più difficile del mondo è essere dove siamo. Ci circondiamo di stratagemmi per non vedere; sempre di più ironicamente, man mano che acquisiamo mezzi d’informazione più efficaci. Teorizziamo, giustifichiamo e teologizziamo; cerchiamo prospettive che rendano i problemi particolari e personali meno dolorosi; descriviamo e ridescriviamo le esperienze così da non doverle percepire in tutta la loro crudezza; immettiamo nella nostra mente una tale profusione di immagini da poter essere certi che nessuna di loro si depositerà abbastanza profondamente da arrivare a disturbarci per davvero. I notiziari si aprono con un’inondazione in Bangladesh o la strage di bambini in una scuola, ma passano poi rapidamente oltre – “E ora le altre notizie…” – e siamo rassicurati dalle avventure di un politico delinquente o da una controversa premiazione nell’industria dello spettacolo. In ogni caso, dopo il notiziario c’è un altro programma per cui restare in attesa. È così che funziona e, lungi dal garantire che siamo consapevoli di quanto sta accadendo nel mondo, finiamo per non avere alcuna chiara percezione del reale momento presente. È meravigliosamente semplice riuscire a persuadere noi stessi che essere a conoscenza di tante cose sia lo stesso che entrare nella loro realtà e perfino apportarvi una differenza.

No! “Essere dove siamo” richiede continuamente di spegnere proprio quei sistemi e quegli stimoli che pretendono di dare senso al nostro ambiente. Ecco l’“ospitalità” della verità! Lasciar perdere i modelli di comprensione abituali per permettere a noi stessi di ancorarci a questo momento, sicuri che è qui che Dio va incontrato: questo è essere accolti dalla verità, entrare in quel luogo (o non-luogo) oltre i territori e le difese. Lasciar perdere ciò che si frappone è a volte terrificante e altamente costoso, ma è altresì l’unico modo possibile per noi di ricevere una gioia incondizionata; non felicità ma gioia, il senso di un fondamentale sintonizzarsi con la realtà. Quella gioia che può consistere solo nella consapevolezza di essere assolutamente contenuti nello sguardo del Padre, ricevendo momento per momento la pienezza del suo amore. Gesù non ha difese davanti a quella fonte amorosa del suo essere, ed egli dunque comunica senza riserve o interruzioni l’ospitalità della vita divina, che cerca di non lasciare indietro nulla (Giovanni 16,15). Ascoltare e riconoscere quanto Gesù dice, compie e soffre è riconoscere il Dio la cui natura è dare vita, che eternamente “fa spazio” nella vita divina allo scambio amoroso tra le persone divine e che, da questo mutuo piacere portato a compimento, fa spazio alla sua creazione nell’orizzonte della gioia divina. Essere nella verità di Gesù è essersi incamminati lungo la via che conduce a vedere il mondo nella sua interezza, a vedere il mondo con gli occhi di Dio.

È un’impresa mai finita, ma una volta che si sia divenuti capaci di giudicare e di dare forma a quel che facciamo giorno per giorno questo ci apre a quei fuggevoli barlumi di una piena visione che ci assicura che non stiamo dando vita a una fantasia. Ricevere la verità così com’è in Cristo significa dimorare nel mondo in questo modo, vedendo “l’esistenza che splende nelle cose”, vedendo il mondo come espressione del donarsi di Dio. Quando l’ospitalità dell’essere di Dio viene vista attraverso la complessa interazione tra Gesù, il Dio che egli prega e lo Spirito la cui venuta egli promette, non solo siamo accolti, ma siamo anche resi liberi di offrire accoglienza: accoglienza della nostra visione e comprensione di tutto l’intero ordine materiale, accoglienza reciproca. Il nostro posto al mondo non è un territorio per cui dobbiamo batterci, ma una dimora nella quale il mondo, l’altro, possono essere invitati. Di qui, naturalmente, la paura che può ispirare, sia in noi che negli altri: forse rifuggiamo dall’accogliere in pienezza il dono amoroso di Dio perché percepiamo che tale dono farà di noi immagini e portatori dell’ospitalità di Dio; e se guardiamo a Gesù a giudizio, a Gesù crocifisso, ne conosciamo il prezzo

R. Williams, Il giudizio di Cristo, Qiqajon, Bose 2003, pp. 120-124.