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Attendiamo… ?

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“Se chiamate padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri”: è un passo tratto dalla Prima lettera di Pietro (1Pt 1,17), in cui si usa un vocabolo caratteristico dello straniero residente stabile, ma senza i pieni diritti della cittadinanza. La lettera è stata scritta probabilmente a Roma, e da essa traspare un sentimento di marginalità, che i fedeli di Gesù ereditano dal giudaismo, da quel popolo ebraico che nei mesi scorsi abbiamo conosciuto tante volte da straniero. I primi cristiani sono infatti convinti di essere alla vigilia di un nuovo mondo: pur vivendo, come i loro contemporanei, nella Roma del primo secolo, guardano a un mondo futuro e a un altrove.

Il cristianesimo dei primi secoli sperimenta una condizione in cui il potere politico è in linea di principio ostile al cristianesimo stesso. In questo orizzonte i cristiani teorizzano e vivono un atteggiamento di sottomissione e di lealismo nei confronti del potere imperiale, concentrandosi sull’elaborazione di un loro modo di vivere all’interno della società. Con l’adesione al cristianesimo da parte dell’impero, le due istituzioni, impero e chiesa, verranno poi a sovrapporsi.

La secolarizzazione è un fenomeno moderno. La separazione che ne consegue tra la sfera del potere temporale e di quello spirituale permette di recuperare e intendere con più chiarezza il nesso tra tensione escatologica (si attende un mondo futuro) e istanza etica (“Comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù”: 1Pt 1,17). I primi cristiani attendevano la venuta prossima del regno di Dio: un regno di pace, di giustizia, di amore. E cercavano di comportarsi di conseguenza.

E noi, cosa attendiamo? Chi attendiamo? Attendiamo…? È l’intensità dell’attesa che orienta le parole che diciamo e i gesti che compiamo. Tanto nella vita privata quando nel nostro impegno pubblico, politico e sociale.


UNO SGUARDO DIVERSO

Moltivolti è una impresa sociale, nata da un’idea di quattordici persone provenienti da otto paesi diversi (Senegal, Zambia, Afghanistan, Bangladesh, Francia, Spagna, Gambia e Italia): da qui il nome del locale. L’unione un po’ insolita delle due attività – ristorante e coworking – è il vero collante del progetto, che ha l’obiettivo di mettere in contatto e far comunicare segmenti di popolazione che normalmente non comunicano, per animare uno spazio ideato per offrire “cittadinanza e valore a partire dalla diversità”. E quali migliori strumenti del cibo e del lavoro condiviso per poter sviluppare tutto questo?
La sede è a Ballarò il quartiere più multietnico di Palermo.