La volontà di Dio: volontà di amore
L’amore per Dio, nella Bibbia, è amore obbediente, nel senso etimologico di ob-audiente, che vuol dire contemporaneamente ascolto e assenso a ciò che l’io ascolta. Obbediente è quell’amore che va all’altro per ascoltare ciò che l’altro dice e aderirvi. La figura esemplare di questo amore è quella del discepolo per il maestro. Amarlo, per lui, non significa farne un oggetto del desiderio ma ascoltare ciò che dice ed eseguirlo. Essere un buon alunno non significa, per lui, pensare al suo insegnante, ammirarlo, contemplarlo o desiderarlo, ma fare ciò che egli dice, ancora prima di capirlo. Il bambino che disegna sul foglio le lettere dell’alfabeto che gli vengono mostrate o che impara i numeri decimali che gli vengono disegnati non capisce ancora a cosa potranno servirgli. E anche se gli fosse detto che, con questi segni, potrà un giorno scrivere poesie e fare calcoli, tali ragioni resterebbero per lui incomprensibili perché solo con il tempo egli potrà sperimentare che quello che ha appreso gli ha aperto possibilità impreviste …
Quando la Bibbia comanda di amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”, l’amore di cui essa parla è di questo tipo: è l’amore di obbedienza con cui il credente alla propria volontà sostituisce quella divina, non volendo più ciò che egli vuole ma ciò che lui, Dio, vuole. Comandando di amare lui e solo lui, Dio non si offre a Israele come desiderabile infinito, sostitutivo e competitivo di ogni altro desiderabile mondano e umano necessariamente fragile e finito, ma come volontà ultima, suprema e assoluta da sostituire alla propria e da assumere come misura o metron del proprio essere e del proprio agire. Agapica è la soggettività abitata da questo amore, la soggettività che, fidandosi e affidandosi a Dio, ne compie in ogni istante la volontà, che non è né volontà di autoaffermazione né arbitrio, ma volontà di amore: che nasce dall’amore ed è promotrice dell’amore. Sì, quindi, volontà insindacabile, ma non perché dominatrice bensì perché “bene-volenza”: apertura e instauratrice dello spazio del bene, del buono e del giusto, al di fuori del quale c’è il nulla e dentro il quale fioriscono i nostri amori e le nostre gioie.
Se amare Dio è volere ciò che egli vuole, ciò che egli vuole è che l’uomo ami come lui ama … Per la Bibbia amare Dio vuol dire seguirlo, ma seguirlo non significa amare lui ma il prossimo come lui. Il prossimo: in pratica l’uomo, ogni uomo, a partire dal più vicino (è il significato del superlativo latino proximus) e dal primo che ci viene incontro. Amare Dio è amare il prossimo come Dio lo ama. Di qui il legame inscindibile tra il primo e il secondo comandamento che Gesù riscopre e ribadisce come la sostanza stessa della Bibbia quando risponde alla domanda del dottore sul “grande comandamento della Legge”.
Per Gesù il senso delle Scritture si riassume nel comandamento di amare Dio e di amare il prossimo. Più che di due comandamenti si tratta, in realtà, di uno solo, essendo l’amore al prossimo il segno o la prova dell’amore a Dio. Ponendo l’amore al prossimo come secondo rispetto al primo, piuttosto che stabilire una gerarchia di amori (prima quello per Dio e poi quello per l’uomo), Gesù definisce il senso stesso dell’amore, che consiste nell’amare gratuitamente, allo stesso modo con cui da Dio si è gratuitamente amati.
Carmine Di Sante, Fiducia, speranza, amore