Giacomo Lercaro
Questo richiede alla chiesa una profonda conversione; deve uscire dalla lunga stagione della teologa della guerra, e da quel rapporto complesso con il potere che l'ha generata a partire da Costantino. Lercaro approfondisce ulteriormente il tema teologico della pace ponendolo al cuore della cristologia: “La pace non è, come normalmente noi la rappresentiamo, il risultato di un rapporto etico ordinato e progredito secondo ragione ed equità; e non è neppure il frutto di un corretto rapporto metafisico con Dio; essa è un dono di salvezza tale che è la persona stessa dell'unico Salvatore del mondo; la pace non è un rapporto, è una Persona, ha un nome personale, è il Messia, è Gesù, al di fuori del quale non si dà né salvezza né pace. Questo significa che la pace non è primariamente frutto di un'azione umana, ma è eminentemente l'opera cristica di salvezza e l'opera cristiana di conversione, di penitenza, di preghiera, di carità evangelica, specialmente verso i più poveri”.
Ma il vertice della sua predicazione lo raggiunge nell'omelia pronunciata a Bologna il 1 gennaio 1968. Afferma che la chiesa non è chiamata a farsi arbitro dei conflitti tra le nazioni, ma deve porre in perfetta umiltà, purezza e povertà, il giudizio dell'evangelo: “La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia, cioè il parlare in nome di Dio”.