Una sequela, molti equivoci
1 luglio 2024
Mt 8,18-22
In quel tempo18vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all'altra riva. 19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». 20Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 21E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 22Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».
Il capitolo 8 di Matteo inizia con la discesa di Gesù dal monte in cui ha pronunciato il più celebre dei suoi discorsi: anche lì, come nel vangelo odierno, questo spostamento di Gesù era dettato dalla visione delle folle (cf. Mt 5,1). Questa volta cosa spinge Gesù ad andare non verso l’alto ma oltre? Forse l’avere iniziato a “sporcarsi le mani”.
In una rapida successione, Matteo ci presenta dapprima il suo contatto con un lebbroso (l’impuro per eccellenza), quindi eccolo pronto a entrare in casa di un pagano, altra fonte di impurità; infine, appena varcata la soglia di un’altra casa, Gesù si accorge che la padrona giace a letto malata e non esita a toccarla per guarirla.
Matteo coglie subito il punto: Gesù è il servo sofferente che ha preso le nostre infermità (cf. Mt 8,17). Possiamo così ipotizzare che la decisione di Gesù miri a dissipare un possibile equivoco: quel “nostre” non è il patrimonio di un gruppo ristretto che possa vantare più titoli di altri uomini e donne, ma riguarda tutti e tutte!
Spesso, però, risolto un equivoco ne emergono altri, ed è ciò che mostra la nostra pericope, che ha un parallelo nel Vangelo secondo Luca (cf. Lc 9,57-62) con una differenza fondamentale: mentre in Luca Gesù è chiaramente rivolto verso Gerusalemme, centro spirituale e cultuale del giudaismo, in Matteo il rabbi di Nazaret sta per passare dalla periferica Cafarnao a un luogo ancora più remoto: l’altra riva del lago di Tiberiade, territorio pagano in cui s’imbatterà in una possessione demoniaca particolarmente grave (cf. Mt 8,28-34).
Di fronte alla mossa del maestro, la prima reazione possibile è l’adesione entusiasta: “Ti seguirò ovunque tu vada!” gli dice uno scriba, quasi offrendo la sua buona volontà come garanzia della sua sequela. Segue una doccia fredda, volta a saggiare più che a smorzare quell’entusiasmo: il Figlio dell’uomo, titolo che allude all’identità di Gesù quale messia e servo sofferente, passa in mezzo a noi (cf. Lc 18,37) per fare il bene ma non ha dove fermarsi a riposare; l’unico luogo in cui poserà il capo, non a caso, sarà la croce (cf. Gv 19,30).
Sappiamo bene che sequela e successo mondano difficilmente vanno d’accordo: dobbiamo ricordarci però che questo vale anche per obiettivi più modesti come la stabilità, la pace domestica e sociale.
Segue qui il secondo equivoco, presentato non da uno scriba ma da qualcuno che è già discepolo di Gesù: quello di poter porre dei limiti alla sequela, magari ammantati dalle motivazioni più nobili, come quella di seppellire il proprio padre. La risposta di Gesù può sembrarci sconcertante, al punto da non notare che la prima stonatura è nella richiesta del discepolo: il padre che egli aveva lasciato per seguire Gesù è morto in quello stesso momento? O forse la sua è l’espressione della paura, in sé legittima, di fronte a un passo troppo grande?
Quando la sequela si rivela diversa dal cammino sereno che avevamo immaginato, la tentazione di regredire a un orizzonte più rassicurante perché conosciuto può farsi forte. Il che significa negare la sequela! Di fronte a questa obiezione la risposta di Gesù è netta: l’invito a rinnovare la sequela, ogni giorno, nella consapevolezza che essa è un cammino di vita che, come ogni vita, chiede anche di “morire” a ciò che eravamo e di accettare che i rapporti che ci hanno fatto crescere si trasformino alla luce dell’amore di Dio.
fratel Federico