Lodare Dio in mezzo alle prove

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24 settembre 2024

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 11, 25-27 (Lezionario di Bose)

25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.


Questo brano evangelico ci fa entrare nella preghiera di Gesù, nella vita intima del suo cuore. Non è un insegnamento come il “Padre nostro” (“insegnaci a pregare” aveva chiesto un discepolo), ma è un grido spontaneo di giubilo. È innalzamento del suo cuore nella lode al Padre perché i suoi sensi spirituali (cioè abitati dallo Spirito) gli rivelano l’azione del Padre nel mondo, in particolare riguardo alla sua missione di messia. 

Lode spontanea ma che sgorga sicuramente dalla “lectio divina”: la meditazione pregante della Scrittura, lettura e preghiere che gli hanno permesso di entrare più profondamente in contatto con il cuore del Padre. Egli legge e fa suo il messaggio di Isaia: “Tu Israele, mio servo che ho scelto, non ti ho rigettato, non temere perché io sono con te, ti rendo forte e ti vengo in aiuto” (Is 41,8-10) E ancora: “Ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” (Is 42,6-7) 

La sua lode, grido di amore, di riconoscenza e di riconoscimento verso il Padre sorprende quando si capisce il contesto. La persona di Gesù e la sua missione trovano resistenza e persino rigetto. Nei versetti prima del nostro brano Gesù dice: “Abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto” (Mt 11,17). Rimprovera anche le città che non si sono convertite alla vista dei segni messianici compiuti (cf. Mt 11,20-24).

Ebbene davanti al suo fallimento agli occhi del mondo, il suo cuore esulta! Ci stupiamo: come fa a non sentirsi male? La sua fiducia/fede nel Padre gli permette di cogliere il sale del Regno, il lievito nella pasta, il grano sotto terra che dà la sua vita al germoglio, nella persona dei piccoli, degli umiliati. Gesù non si sente schiacciato sotto il peso del rifiuto da parte di quelli che contano, che hanno voce e ricevono ascolto, ma aderisce più che mai alla visione di un Dio capace di discernere la qualità nascosta del cuore: del pubblicano che si pente, del Samaritano eretico che prende cura del povero, dell’umiltà di Maria, di Zaccheo il ricco che lo accoglie, della donna di brutta fama che piange sui suoi piedi e tanti altri.

“Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza” (v. 26). Non si sente schiacciato perché Lui è il piccolo, l’umiliato abbandonato nelle mani del Padre dal quale riceve tutto: “Tutto è stato dato a me dal Padre mio” (v. 27a). Non ha nessun progetto personale, non ha preso possesso della sua missione. Si sente “conosciuto”, ossia profondamente accolto e amato dal Padre. Egli riceve il suo amore e vive soltanto di questo amore e per questo amore. È da questa umile impostazione interiore che riceve anche la sua missione: “Nessuno conosce il Padre se non il figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (v. 27b)

Così, contemplando Gesù, capiamo anche la grandezza della figura del monaco Silvano dell’Athos che ricordiamo oggi nella nostra liturgia. Un uomo semplice con una vita rude, diventato umile, capace di cantare e lodare l’amore di Dio attraverso la sua sofferenza interiore. Lo ricordiamo come “cantore dell’amore di Dio agli inferi”.

sorella Sylvie