“Non preoccupatevi!”
17 gennaio 2025
Mt 6,24-34
In quel tempo Gesù disse: "24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
Nella memoria di Antonio, padre dei monaci solitari, meditiamo queste parole del discorso della montagna dal vangelo secondo Matteo. Gesù ci offre dei criteri di discernimento che ci aiutano a vigilare sulle nostre relazioni con il Padre, con i fratelli e le sorelle, con i beni della creazione. Siamo chiamati a fare una scelta tra la schiavitù della ricchezza, della paura e della preoccupazione costante, e una relazione con Dio che può rendere luminoso il nostro orizzonte liberato dalla paura, nella fiducia che il Padre sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Da una parte c’è un imperativo che si ripete costantemente: “Non preoccupatevi!”, dall’altra c’è l’indicazione di ciò che solo è necessario per una pienezza di vita: “Il regno di Dio e la sua giustizia”.
Ma cosa cerchiamo oggi nella nostra vita? Cosa abita il nostro cuore, dov’è il nostro tesoro? La preoccupazione è spesso una nube che offusca l’orizzonte, condizionando le nostre scelte, è quell’affanno che a volte vanifica tanti nostri sforzi, come accade a Marta, quando accoglie Gesù nella sua casa (cf. Lc 10,38-42). Troppo centrati sul nostro operare e sul nostro protagonismo, siamo incapaci di riconoscere la bellezza e la gratuità del dono di Dio che ovunque ci circonda. Non si tratta di una cieca e a volte infantile attesa della “provvidenza”, ma di una fiducia consapevole che può dare senso e ragione del nostro co-operare all’azione creatrice e salvifica di Dio.
Siamo chiamati a vivere pienamente l’oggi di Dio con uno sguardo attento a riconoscere ogni suo dono, nella creazione di cui siamo parte, nei fratelli e sorelle di cui siamo custodi, non come il ricco epulone il cui occhio accecato dalla ricchezza è incapace di vedere il povero Lazzaro (cf. Lc 16,19-31), o come l’uomo ricco che pensa solo ad accumulare tesori per sé (cf. Lc 12,13-21).
Non è la preoccupazione il sentimento che deve guidare le nostre vite, ma la cura per la bellezza del creato, Parola di Dio che ci annuncia nelle cose più piccole e semplici il suo infinito amore, la cura per i fratelli e le sorelle, specialmente i più poveri, fragili, bisognosi; questo è “il regno di Dio e la sua giustizia”, quel Regno che è già dentro di noi se non permettiamo che la luce che è in noi sia tenebra.
La fiducia, non la preoccupazione o la paura, ci rende capaci di condivisione e accoglienza dei poveri e degli stranieri. La fiducia ci rende autenticamente liberi e non schiavi, come libero era Antonio nel deserto, rinunciante per amore di Dio e del suo Regno fino a vivere il celibato e la solitudine come luoghi privilegiati dell’amore del Padre. Antonio ci insegna a vivere con quella fiducia in Dio che ci permette sempre di “ricominciare”, con rinnovata speranza, ogni istante della nostra vita.
Quasi mille anni dopo, anche Francesco d’Assisi si spoglia di tutto per rivestirsi solo dell’amore del Padre. Nella sua totale povertà può cantare, proprio 800 anni fa, la bellezza del creato, con fiducia e meraviglia fino a poter perdonare, fino ad accogliere con gratitudine e lode nostra sorella morte corporale.
Nella fiducia e non nella preoccupazione, le nostre povere esistenze umane possono divenire un atto d’amore, di bellezza, di lode, un dono fino all’estremo, fino a quell’altra soglia che è la nostra morte, così come Gesù è vissuto, morto e risorto per amore nostro.
fratel Nimal