Povertà
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di ENZO BIANCHI
Il primato del Regno relativizza drasticamente le ricchezze: Gesù mette in guardia da esse, perché possono
Il discorso cristiano sulla povertà è molto delicato. Si tratta di un argomento facilmente manipolabile: estrapolando alcuni testi evangelici si può fondare su di essi un rigorismo tanto radicale quanto irrealizzabile e perciò irreale. D’altro canto, nell’attuale clima di esaltazione del «mercato» si arriva perfino a cercare (e a pretendere di trovare) il fondamento evangelico al sistema capitalistico. Denunciando in partenza il carattere fuorviante di qualunque forma di demonizzazione del «mercato», dell’«impresa», ecc., che a volte è dato di riscontrare in ambienti cattolici – e riconosciuto che il giudizio dato in ambito cattolico a questioni e realtà economiche è spesso grossolano, assolutamente inadeguato alla realtà, mosso da stereotipi arcaici che non rendono minimamente ragione della realtà economica odierna, e dunque risulta ideologico o semplicemente inutile – io vorrei rileggere la povertà a partire dal messaggio evangelico e neotestamentario per trarne indicazioni per il nostro oggi. Dall’insieme del Vangelo emerge che il discorso sulla povertà trova il suo senso solo se non viene isolato ma contestualizzato all’interno del centro che ha mosso la vita e la predicazione di Gesù: l’annuncio dell’irruzione del Regno di Dio; la rivelazione che in lui Dio visita il suo popolo. Questo primato del Regno, che diviene primato di Cristo e della sua sequela, relativizza tutte le realtà umane e ordina il rapporto con esse. È così che l’irruzione del Regno nel Messia inviato ai poveri significa la beatitudine dei poveri (Luca 6,20-26), proclamati beati non perché poveri, ma perché nel Messia è loro data la caparra della fine della loro povertà: il Regno che Dio instaurerà pienamente appartiene loro.