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Ascesi del desiderio


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La dimensione psicologica del digiuno

La pratica dei digiuno deve essere compresa alla luce del valore del cibo che ogni persona vi attribuisce. Senza la giusta comprensione di esso. si rischia di cadere o in un vuoto ritualismo religioso o di appiattirlo a un semplice bisogno psicologico. A partire dalla psicologia del profondo, l'autore contestualizza la pratica del digiuno nel valore del cibo a partire dalla fase iniziale della vita. Senza entrare nei dettagli, emerge con chiarezza che nei pasti si sviluppa la dimensione affettiva e relazionale.

Scrive Bendaly: «come ogni comportamento umano sorto dall'istinto, quello alimentare trascende nell'uomo il semplice registro del soddisfacimento istintivo, rivestendo delle dimensioni affettive che hanno la più grande importanza a livello esistenziale» (p. 11). Il cibo è dunque «simbolo di comunione» e anche le deviazioni di esso, quali per esempio l'anoressia e la bulimia, stanno a indicare che esiste un livello psicologico e relazionale da proteggere, custodire e far crescere.

La tesi dell'autore è che la pratica del digiuno non è altro che l'educazione del desiderio di comunione, passando dal fagocitare ogni cosa ripiegati su se stessi (come il bambino che pretende il rapporto simbiotico con la madre) a una relazione affettiva matura. Il processo di differenziazione che porta il bambino a staccarsi dal bisogno di dipendenza (alimentare ma non solo) dalla madre e dall'averla solo per se stesso è dunque un cammino evolutivo necessario per costruire nel futuro relazioni sane e durature: «nell'ottica di questa evoluzione, sempre da riprendere e da assumere con un impegno personale libero, bisogna collocare la dimensione psicologica del digiuno» (p. 29).