Vedere quell’unica ferita
Sembra che il legame della carità, la congiunzione fra uno sguardo e la verità di un dolore, consista proprio nell’arrestarsi, nel voltare la testa. Simone Martini ha dipinto con grande esattezza questo momento di conversione in uno degli affreschi che decorano la cappella di san Martino nella chiesa Inferiore della Basilica di san Francesco ad Assisi. È l’episodio più proverbiale della vita del santo; una gelida mattina d’inverno, il povero, che non ha di che coprirsi, la spada sguainata che divide a metà il caldo mantello di Martino. Nell’affresco di Simone, il santo è già uscito, in groppa al cavallo, dalla porta della città, incamminandosi per una terra desolata, senza nemmeno un arbusto, sotto un cielo livido. Tutto, in questo paesaggio essenziale e pietrificato, fa pensare alla tramontana. Tempo da ladri. Deve essere ben importante il motivo del viaggio se è capace di spingere un uomo in una tale desolazione. Vicino alla porta c’è un uomo scalzo e tremante, a malapena rivestito da una stoffa misera e lacera, di un’umiliante esiguità. Un lungo strappo sul fianco lo fa ancora più nudo. Nel suo sguardo è agevole leggere il ricordo fresco di una notte tremenda: fame, membra progressivamente intorpidite dal gelo, la vergogna che è sempre compagna della povertà di fronte allo sguardo astioso e imbarazzato di una città superba e ben munita. Quell’uomo, è facile immaginare, non si è mai mosso, da lungo tempo, dalla porta della città, luogo d’elezione di tutti i miserabili della terra.