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Comentários às leituras dos domingos e dos dias festivos

XIX domingo do Tempo Comum

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12 agosto 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O Evangelho apresenta o confronto entre o pão e a morte: Jesus revela-se como o pão descido dos céus

domenica 12 agosto 2012
di LUCIANO MANICARDI

Anno B
1Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51

Dio nutre il profeta Elia nel momento della sua crisi, quando lo zelante difensore del Dio d’Israele cade preda della paura, della depressione, della volontà di morire. Al cuore del deserto, come già fece con il popolo, Dio nutre il suo profeta e questi può riprendere il cammino e giungere all’Oreb, all’incontro con Lui. Il cibo donato da Dio è per la vita del profeta: vita fisica, certamente, ma anche vita che ha il suo vertice nell’incontro con Dio (I lettura). Anche il vangelo presenta il confronto tra il cibo e la morte: Gesù si rivela pane disceso dal cielo che concede a chi lo mangia di partecipare alla comunione con Dio, alla vera vita.

Il richiamo alla vicenda dei figli d’Israele nel deserto, già presente nell’evocazione del dono della manna, prosegue in Gv 6 con l’accenno alla mormorazione degli interlocutori di Gesù analogamente a quanto fecero i figli d’Israele durante l’esodo. La mormorazione è un grave vizio ben conosciuto nella chiesa e soprattutto nelle vite comunitarie, un vizio capace di incrinare la solidità della comunità e di guastare i rapporti fraterni seminando diffidenza e sospetto. È una lagnanza nascosta, fatta di spalle, vile, una contestazione non aperta, ma che mugugna nell’ombra contro qualcuno sussurrando all’orecchio di altri al fine di creare dei complici. Nel nostro testo è l’atteggiamento di chi si rifiuta a credere: il mormoratore è colui che resiste alla fede (cf. Gv 6,41-42). Il mormoratore può correggersi con la preghiera. Pregare per gli altri impedisce di farli oggetto di mormorazione. Nella mormorazione infatti Dio sparisce dall’orizzonte con cui penso l’altro. Nella preghiera, invece, penso l’altro davanti a Dio.
Come Dio aveva risposto alle mormorazioni dei figli d’Israele nel deserto donando loro la manna, così Gesù risponde alle mormorazioni dei suoi interlocutori con il dono di se stesso: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51). Il dono di Dio non costringe, ma è un’offerta che suscita la libertà del destinatario: la manna è dono e domanda (man hu: che cos’è?); il dono che Gesù è, suscita a sua volta domande sulla sua identità (“chi è?”: cf. Gv 6,42). Così, le domande incredule di coloro che conoscendo l’origine umana di Gesù non accedono alla fede in lui quale rivelatore di Dio, non dicono solamente il peccato di chi le formula, ma esprimono anche il carattere non coercitivo e non obbligante del dono che Gesù è e fa. Il vero dono si espone alla libertà del destinatario, anche al possibile rifiuto. Anche all’umiliazione dell’indifferenza o del rigetto.


 

I due verbi discendere e dare che nel nostro testo esprimono la relazione di Gesù con gli uomini, in verità indicano le due modalità costanti dell’esistenza di Gesù. Gesù dà vita scendendo e donando. Gesù è il pane disceso dal cielo, cioè la sua origine è in Dio, ma discendere è la normalità del suo comportarsi nei confronti dei discepoli e delle persone che istruisce, cura, perdona. Gesù narra la condiscendenza di Dio nel suo continuo farsi vicino agli uomini. Gesù è dono di Dio all’umanità (cf. Gv 3,16), Gesù dona la sua vita per i suoi (cf. Gv 15,13), ma anche il dono non è restringibile a un momento solo della vita di Gesù, bensì è la modalità stessa del suo vivere quotidiano: Gesù fa del vivere un donare. Questo interpretare la vita come attivo donare, come amare, come spendere la vita per gli altri, è ciò che vince la morte e consente di trovare la propria vita, già ora, nella comunione con il Dio che è amore (cf. 1Gv 4,8.16).

Se Dio è all’origine e al termine della missione di Gesù, è anche all’origine della fede del credente: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre” (Gv 6,44). Questa attrazione è specificata come ascolto e insegnamento ricevuto (cf. Gv 6,45), termini che rinviano alla Scrittura, “cattedra” da cui il Padre fa sentire la sua voce e rivolge agli uomini tutti (Gv 6,45; 12,32) l’invito a credere in colui che egli ha mandato. Grazie all’ascolto della parola di Dio contenuta nella Scrittura il credente diverrà un teodidatta.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero 

XVII domingo do tempo comum

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29 julho 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O pão é o símbolo mais adequado para exprimir as necessidades do homem e o amor de Deus. Toda a história da salvação pode ser resumida no gesto em que Deus "dá o alimento a todo o ser vivo" (Salm 136, 25)      

domingo 29 julho 2012
de LUCIANO MANICARDI

Ano B

2Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Jo 6,1-15

O pão, alimento essencial do homem mediterrânico, é sinal da atenção de Deus pelo homem e do seu amor abundante como prova o trecho em que vinte pães de cevada, "segundo a Palavra de Deus" transmitida pelo Profeta Eliseu, não só matam a fome a cem pessoas como ainda sobram (I leitura). No Evangelho, cinco pães de cevada e dois peixes, de acordo com os gestos e a Palavra de Jesus, matam a fome a cinco mil pessoas e também sobram. Mais do que a multiplicação, devemos falar de partilha e de dom

A iniciativa de saciar a fome das multidões não parte dos discípulos (como nos sinópticos), mas diretamente de Jesus. Não é motivada sequer pela compaixão em face de pessoas cansadas ou perdidas (como em Mc 6,34; 8,2; Mt 15,32). O gesto de Jesus é absolutamente gratuito: é uma ação, não é uma reação. Nasce, apenas e só, do seu olhar sobre a multidão, naquele tempo próximo da Páscoa (cf. Jo 6,4). O seu gesto surge como uma revelação: seja em relação a Deus que, na Páscoa, cumprirá o seu amor abundante pelo homem dando o seu próprio filho pela vida do mundo, seja em relação ao homem e à sua fome, que não se deve a circunstâncias particulares, mas que é, fudamentalmente, constitutiva. Esta fome não é uma desgraça, mas é a verdade humana orientada para a verdade de Deus que a precede e que a funda e que é o desejo de Deus de se entregar ao homem para que estejam em comunhão e para que o homem tenha a vida em abundância.

O pão é o símbolo mais adequado para exprimir as necessidades do homem e o amor de Deus. Toda a história da salvação pode ser resumida no gesto em que Deus "dá o alimento a todo o ser vivo" (Sal 136,25). Realidade humanissima, o pão é um símbolo de vida, contém em si uma referência à natureza, à cultura, à terra, ao trabalho do homem, à sua corporiedade, à sua pobreza fundamental, à sua dimensão de convivialidade e de encontro, de sociabilidade e de comunhão, no fundo a tudo aquilo que dá sentido à vida sustentada pelo pão. O pão simboliza tudo aquilo que é essencial à vida.


 

O gesto eucarístico de Jesus (“tomou os pães e, tendo dado graças, distribuiu-os”: Jo 6,11) indica seja a eucaristia como lugar de encontro de Deus com o homem sobre o signo da gratuidade, do amor abundante e imenso, do dom que não pode ser retribuido, seja a essência da gratidão que o homem é chamado a assinalar antes de comer, diante de cada refeição, como confissão de fé que a vida é dom. No momento do apetite basilar da criatura, o agradecimento impõe uma distância entre si próprio e a necessidade que (re)põe o homem na sua verdade, confessando Deus como Senhor da vida.

A multidão acolhe o gesto de Jesus como sinal revelador de algo da sua identidade mais profunda (cf. Jo 6,14), com consequências que Jesus rejeita de forma muito clara. Jesus sabia que o queriam fazer Rei e por isso se retira, sozinho, para a montanha (cf. Jo 6,15). A sua realeza é outra e surgirá na glória paradoxal do cruz. Jesus rejeita a lógica mundana dos Reis e governadores que pedem poder e legitimação em troca de meios de subsistência. Jesus rejeita humilhar a fome “ontológica” do homem, a necessidade humana, em proveito próprio e de atentar contra a gratuidade de Deus, mercantilizando-a.

Jesus retira-se, “faz-se anacoreta”, por fim “escapa-se”, segundo algumas testemunhas da tradição manuscrita (Jo 6,15). Escapa-se dos que de um profeta querem fazer um Rei, dos que de um gesto de amor e de revelação querem fazer uma instituição política. Escapa-se de quem o aplaude e aclama; escapa-se, por fim, dos próprios discípulos, mostrando que, por vezes, a arte da fuga é a única possibilidade para salvaguardar a qualidade e a dignidade da própria vida e o lado evangélico da fé. Jesus escapa-se, não para se isolar, mas para se encontrar com o Pai. Escapa-se na solidão habitada pela comunhão com o Pai. Jesus está “só” (Jo 6,15), “...se bem que Eu não esteja só, porque o Pai está comigo” (Jo 16,32).

LUCIANO MANICARDI

Comunidade de Bose
Eucaristia e Parola
Textos para as Celebrações Eucarísticas - Ano B
© 2010 Vita e Pensiero

XVI domingo do tempo comum

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22 julho 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O olhar de Jesus pastor é imbuido pela luz da Palavra de Deus: só assim Ele consegue ver na multidão, não um obstáculo, mas uma ocasião para obedecer à Palavra das Escrituras

22 julho 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI

Ano B
Jer 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34

A revelação de Jesus como autêntico pastor e consequentemente sobre o que significa exercer o ministério de pastor na Igreja é o centro das leituras de hoje. A denúncia profética contra os pastores malvados, isto é, contra os Reis, os chefes políticos e militares do povo que fizeram do seu posto não uma oportunidade de serviço mas de beneficio próprio, dá conta da necessária conversão do poder em serviço da parte de quem detém autoridade. Deus será juíz e vingará os erros cometidos pelos pastores indignos e suscitará um pastor autêntico (I leitura). No Evangelho, Jesus aparece como o pastor que sacia a sede de guias firmes e fiéis para um povo praticamente disperso como "ovelhas sem pastor" (Mc 6,34).

Jesus é, antes de mais, pastor dos seus discípulos, da sua pequena comunidade, que, de regresso da missão que lhes tinha sido confiada (Mc 6,30 fala de “apóstolos"), reunem-se à sua volta e contam como a cumpriram. Jesus estabelece a unidade da comunidade e acolhe os seus escutando o que viveram, as suas experiências de missão. A missão não pode ser, apenas, "falar e ensinar", mas deve ser também recontada, narrada e escutada. A experiência pastoral e existencial dos discípulos, pode assim, ser consolada e corrigida, confirmada e alterada. In una parola, i discepoli sono accolti e ascoltati da colui che li ha inviati e che si mostra interessato non semplicemente al compimento della missione, ma anzitutto alla loro persona. Gesù, buon pastore che conosce per nome le sue pecore, si mostra più attento ai missionari, infatti, che alla missione e al suo eventuale successo. Mentre ascolta i racconti degli apostoli, egli sente anche la loro fatica e il loro bisogno di riposo. E li invita ad andare con lui in disparte per riposarsi un po’.

Già i discepoli di Gesù pativano infatti una sorta di tirannia delle attività e del non avere tempo: “Era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). Gesù, buon pastore, dà ai suoi inviati il diritto di riposarsi e dunque consegna loro la responsabilità di darsi tempo, di fermarsi, di abitare il silenzio e la solitudine, di sostare per “essere” e di non alienarsi nel “fare” negligendo i bisogni elementari e basilari della loro vita. Chiamati da Gesù per stare con lui e anche per predicare e cacciare i demoni (cf. Mc 3,14-15), gli apostoli possono trovare il loro riposo nella relazione con Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e io vi darò riposo” (cf. Mt 11,28).


 

Quando Gesù sbarca per andare anch’egli nel luogo in disparte con i discepoli, vede la numerosa folla che li aveva preceduti a piedi e “ne provò compassione perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6,34). Fondamento dell’azione pastorale di Gesù è la compassione. Come aveva visto il bisogno dei suoi discepoli, ora Gesù vede il bisogno delle folle e non le respinge, non le manda via, quasi che fossero un ostacolo a ciò che egli stesso aveva progettato. Gesù vede la fame che hanno di parola di Dio e “cominciò a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). Da possibile fastidio che impedisce il riposo previsto, le folle diventano magistero per Gesù, proprio nel loro bisogno, nella loro povertà. Gesù accetta di mutare il proprio progetto, di lasciarsi scomodare, e si impegna nella faticosa predicazione. La base della predicazione e dell’insegnamento evangelico non può che essere la compassione. Altrimenti anche questa attività si muterà in esercizio accademico e dimostrazione di potere.

Lo sguardo del pastore Gesù è abitato dalla luce della parola di Dio: così egli sa vedere nella folla non un intralcio, ma un’occasione per obbedire alla parola della Scrittura che chiedeva che il popolo non fosse un gregge senza pastore, ma avesse una guida (cf. Nm 27,15-17). Ed è questa obbedienza che, mentre rende Gesù stesso una pecora fedele al Dio “pastore d’Israele” (Sal 80,2), lo abilita anche a esercitare un ministero di guida, di pastore. L’Agnello è il Pastore!

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno B
© 2010 Vita e Pensiero

XV domingo do tempo comum

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15 julho 2012
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O envio em missão cria testemunhas: os enviados devem cumprir, eles próprios, as exigências do Evangelho

domingo 15 julho 2012
de LUCIANO MANICARDI

Ano B
Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

A página de Amós e o trecho do Evangelho apresentam o tema do envio em missão. O profeta é um enviado de Deus: não é um profeta charlatão nem foi ele sozinho que se fez profeta (I leitura). Normalmente, o vedadeiro profeta é relutante em obedecer à chamada que se apresenta como uma luta com Deus em que ele é derrotado. E a obediência contrafeita é critério de autenticidade da missão. O Evangelho apresenta as disposições de Jesus para com os discípulos antes do seu envio (Mc 6,7-11); um guia conciso antes da sua atividade missionária (Mc 6,12-13).


A iniciativa da missão é inteiramente de Jesus: a missão será verdadeiramente cristã na medida em que se torna sacramento da presença e da vinda do Senhor. O missionário é, portanto e antes de tudo, um homem de escuta e de fé obediente à Palavra de Deus.

O envio "dois a dois" significa que o missionário não é um aventureiro isolado. Não só age em obediência a um mandato, em nome de uma Igreja, como desenvolve a sua missão com os outros. O trecho pressupõe que a dois se podem proteger melhor dos perigos, mas sugere também que, a dois (ou com mais), se pode viver a relação, a comunhão e a caridade. A vida partilhada dos enviados, a sua caridade, é testemunho missionário que torna Cristo presente àqueles que os encontram. A missão não consiste tanto na atividade de fazer para os outros mas numa relação marcada pela comunhão e pela caridade entre os próprios missionários.

As orientações de Jesus assinalam os aspetos importantes da ação missionária da Igreja. E a obra de anúncio do Evangelho destinado sobretudo aos pobres deve desenvolver-se com sobriedade e pobreza de meios. O meio é já mensagem, e como poderia o Evangelho, dirigido preferencialmente aos pobres, aos que sofrem e aos esquecidos pela sociedade, ser anunciado com grandes meios e obras grandiosas, e ser confiado a mensageiros ricos e poderosos? Não seria também uma humilhação para os destinatários? O rigor das orientações de Jesus é tal que Jerónimo afirma que os discípulos são enviados “quase nús”: nús, para seguir o Cristo nú.


 

E estas orientações (que dizem respeito à missão no seio de Israel) eram realmente exequíveis, de modo que a pobreza e a precariedade dos enviados não pode ser contornada com interpretações simbólicas. Jesus assume a missão cristã com radicalismo evangélico. A pobreza dos missionários sublinha o facto de que a missão tem sentido não para "conquistar almas" mas em ser sinal do Deus que vem e em ter como protagonista e sujeito, o próprio Ressuscitado. Não sendo lei aplicável em toda o lado ou modelo para copiar, as orientações missionárias falam de uma exigência perene da missão da Igreja: cada época deverá reformular as formas de pobreza da missão.

Nesta pobreza inclui-se o facto de Jesus não proibir o necessário, tudo aquilo que possa tornar a missão mais eficiente, rápida ou produtiva, mas o supérfulo: providencia até o alimento no alforge, o dinheiro na carteira para emergências ou necessidades que surjam. Jesus proíbe que tenham duas túnicas, ou seja que tenham uma veste de reserva para vestir amanhã, proíbe o pão, o alimento por excelência. Decididamente, o ponto de vista de Jesus não é o da eficácia operativa!

O envio em missão cria testemunhas: os enviados devem cumprir, eles próprios, as exigências do Evangelho. A sua presença deverá ser anúncio e transparência d'Aquele que os enviou. A missão não deverá ser nunca "contra", mesmo quando os enviados não forem escutados e acolhidos (Mc 6,11): pedir a conversão e fazer regredir o mal fazendo o bem, deve ser o seu objectivo (Mc 6,12-13). Logo: proclamar as exigências do Evangelho e testemunhar a graça. Não deverão fazer reivindicações, nem birras, mas aceitar a hospitalidade que lhes for oferecida (Mc 6,10). O enviado do Senhor não é tanto aquele que diz palavras inspiradas, mas aquele que tem "os modos do Senhor" (Didaché XI,8).

LUCIANO MANICARDI

Comunidade de Bose
Eucaristia e Parola
Textos para as Celebrações Eucarísticas - Ano B
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