XXXI Domingo do Tempo Comum
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Reflexões sobre as leituras
de LUCIANO MANICARDI
Jesus denuncia a irresponsabilidade da palavra. Irresponsabilidade que consiste em dizer e não fazer, como se falar do Evangelho dispensasse de o viver ou correspondesse a pô-lo em prática.
domenica 30 ottobre 2011
Anno A
Ml 1,14-2,2.8-10; Sal 130; 1Ts 2,7-9.13; Mt 23,1-12
All’invettiva profetica contro i sacerdoti infedeli nella prima lettura risponde l’invettiva profetica di Gesù rivolta a scribi e farisei nel vangelo. Entrambi i testi denunciano non solo l’ipocrisia e la doppiezza, ma anche il potere che può essere esercitato da chi detiene un’autorità.
Ai sacerdoti il profeta rimprovera la scissione del loro insegnamento dall’ascolto della Parola di Dio, l’unica che può dare fondamento, contenuto e autorevolezza alla loro parola. Senza la Parola di Dio, il sacerdote non ha nulla da dire, essendo il suo ministero un servizio della Parola di Dio.
L’accusa contro “l’agire perfido” (Ml 2,10) colpisce il tradimento della fiducia. Chi riveste una responsabilità religiosa non può non essere cosciente della valenza simbolica della sua persona: egli deve pertanto essere fidabile e credibile. Se tradisce la fiducia che altri ripongono in lui, diviene responsabile anche dell’eventuale allontanamento da ciò egli rappresenta nel suo ministero.
Intendere la pagina di Matteo come antigiudaica e le parole di Gesù come rivolte esclusivamente a scribi e farisei, significa non comprendere l’intenzione del testo (che dal v. 8 ha di mira i discepoli e dunque i cristiani) e cadere nell’ipocrisia denunciata da Gesù stesso. Commentando i versetti 5-7 Gerolamo ha scritto: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi dei farisei”. Le parole di Gesù colpiscono il clericalismo cristiano e riguardano vizi religiosi, non giudaici. Le situazioni denunciate da Gesù in Mt 23 sono nostre, tutte, “nessuna esclusa: da quelle ridicole, ma non per questo meno pericolose – i paludamenti, i titoli, i posti d’onore – a quelle ancor più gravi: l’intellettualismo, il verbalismo, il proselitismo, la casistica, il ritualismo, la persecuzione dei profeti vivi e la strumentalizzazione dei profeti morti” (Vittorio Fusco).
Le parole dure di Gesù, che non sono maledizioni ma invettive e lamenti al tempo stesso, parole piene di collera e di sofferenza – le due facce dell’amore tradito –, svolgono una sorta di terapia d’urto nei confronti di una distorsione del magistero e dell’autorità religiosa che occorre definire patologica..
Gesù denuncia l’irresponsabilità della parola. Irresponsabilità che consiste nel dire senza fare, quasi che il parlare di Vangelo dispensi dal viverlo o equivalga al metterlo in pratica. Irresponsabilità che è imposizione agli altri di pesi schiaccianti (l’immagine sottostante è quella dei mercanti che caricavano pesi immensi sulle loro bestie da soma perché li portassero per loro), dunque come comando che vale per l’altro e non per sé e dunque è ignorante del peso che l’altro deve portare e della sua fatica.
Dovremmo anche interrogarci sull’esibizionismo religioso (cf. Mt 23,5-6), sullo scialo di titoli onorifici (cf. Mt 23,7-10) rivolti a personalità ecclesiastiche (l’episcopale “Eccellenza” è di derivazione fascista ed è stato applicato ai vescovi per attribuire loro una dignità non minore di quella riservata da Mussolini ai suoi prefetti), sulla fastosità e ricercatezza barocca di vesti liturgiche (cf. Mt 23,5). Se il Crisostomo criticava chi onorava Cristo all’altare con “vesti di seta” mentre fuori di chiesa vi era chi moriva di freddo per la nudità, Bernardo di Clairvaux scriveva a papa Eugenio III dicendogli che “Pietro non si presentò mai in pubblico bardato di gemme o in cappe di seta o coperto d’oro” e che “sotto questo aspetto, tu non sei il successore di Pietro ma di Costantino” (De consideratione IV,3,6).
Titoli, vesti, onori: trattandosi di cose esteriori, vale la pena di perder tempo a criticare queste cose? Mi limito a citare le parole di p. Yves Congar: “Si può beneficiare ordinariamente di privilegi senza arrivare a pensare che sono dovuti? O vivere in un certo lusso esteriore senza contrarre certe abitudini? E essere onorati, adulati, trattati in forme solenni e prestigiose, senza mettersi moralmente su un piedistallo? È possibile comandare e giudicare, ricevere uomini in atteggiamento di richiesta, pronti a complimentarci, senza prendere l’abitudine di non più veramente ascoltare? Si può trovare davanti a sé dei turiferari senza prendere un po’ il gusto dell’incenso?”.
LUCIANO MANICARDI
Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
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