Il cuore, luogo di lotta

 

Per giungere ad avere in sé, o meglio ad accogliere in dono da Dio un cuore che ascolta, occorre esercitarsi pazientemente a quell'arte già implicitamente evocata: l'arte della lotta spirituale. Occorre cioè comprendere che il nostro cuore è anche la sede della lotta invisibile, la quale consiste – secondo le parole di Antonio, il padre dei monaci – nel “gettare su di sé il proprio peccato davanti a Dio e attendersi la tentazione fino all'ultimo respiro”.

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La noia, figura della morte

La noia rappresenta una sorta di sospensione del tempo: “Non succede più nulla”; un buco nell’essere: “Le mie giornate sono vuote”. Le giornate di chi si annoia non hanno né sensazioni, né direzione, né significato, in una parola non hanno senso, si trasformano in un uggioso deserto che ben presto diventa odioso.

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Abitare il silenzio

Rientrare in se stessi significa anche entrare nel silenzio e nella solitudine. Cosa tutt’altro che facile questa, abituati come siamo a vivere immersi nel rumore e nel continuo contatto con gli altri. E tuttavia il silenzio e la solitudine sono essenziali per mettere ordine in se stessi; hanno, infatti, un meraviglioso potere di semplificazione, di riduzione all’essenziale, di chiarificazione, di concentrazione.

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La fatica di esistere

Il compito di esistere può farsi molto difficile. C’è la rivolta contro il dover essere se stessi: perché mai devo? Ho forse chiesto di essere? ... C’è la sensazione che non valga la pena essere se stessi: che cosa me ne viene? Mi vengo a noia. Mi ripugno. Non ce la faccio più a sopportare me stesso ... C’è la sensazione di essere ingannati riguardo a se stessi; d’essere imprigionati in se stessi: sono soltanto così, eppure vorrei essere di più.

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“Adamo, dove sei?”

Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere: “Adamo, dove sei?” (Genesi 3,9), non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo una reazione suscitabile per l’appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l’uomo e che l’uomo da essa si lasci colpire al cuore.

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Avere un corpo

Se ci volgiamo alle immagini che oggi la società veicola a proposito del corpo, ci troviamo stretti tra, da un lato, esaltazione, idolatria, sublimazione, esibizione e, dall’altro lato, disprezzo e rimozione: esaltazione dell’immagine di un corpo giovanile, sempre sano, desiderabile, seducente, e rimozione del corpo sofferente, malato, morente. Oggi si privilegia l’immagine del corpo, ma dobbiamo chiederci se siamo ancora capaci di coglierne la simbolicità

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Un corpo che desidera

La nostra natura umana (questo indefinito miscuglio della nostra anima e del nostro corpo) “sa”, con un’incredibile perspicacia che travalica i concetti, che la pienezza di vita si ottiene soltanto nella reciprocità della relazione. Nella reciproca e integrale offerta di sé. Per questo la nostra natura investe nell’eros tutta la sua sete, abissale, di vita. Sete del corpo nostro e dell’anima nostra.

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